Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c3
Certo, Lambertini, ancora lui, in un
altro luogo del suo manuale, riconosceva: «tutti possono constatare che i consultori
della Sacra Congregazione [...] possono procedere con più sicurezza nella discussione se
vengono escussi i medici
¶{p. 169}presenti alla cura mentre si può
affermare il contrario se manca la loro testimonianza»
[119]
. Ma, in larga misura a partire dal Seicento, la sola testimonianza dei
medici curanti, sebbene necessaria, cominciò a risultare insufficiente.
Infine, nel Settecento, documenta
Sodano, i medici «non rappresentavano più pallide figure di testimoni convocati come
comparse nei processi, ma erano parte attiva e fondamentale della stessa procedura di
canonizzazione, che si va specializzando verso l’accertamento delle effettive guarigioni»
[120]
.
Tra i canonisti, il ricorso ai
medici fu incoraggiato da Felice Contelori (1588-1652). Il teologo, figlio del giudice
criminale Giovanni Maria, nel suo Tractatus et praxis de canonizatione
sanctorum (1634) auspicava che i miracoli fossero provati non solo dai
testimoni oculari, ma anche da due esperti, medici o chirurghi, che non fossero presenti
in loco, e che, dopo aver esaminato tutte le circostanze riportate dai primi, avrebbero
dovuto concludere a favore dell’innaturalità degli eventi, quindi del loro afferire al
piano soprannaturale
[121]
. Una presenza, quella dei periti, che Carlo de Matta (1622 c.-1701) – autore
del «più importante trattato di canonizzazione immediatamente prima del De
servorum Dei», nel quale si «lasciava alla medicina molto più spazio di
quanto avesse fatto qualsiasi altro predecessore» – non giustificava nel caso in cui la
malattia fosse stata acuta, quindi mutevole in un breve lasso di tempo
[122]
. Denunciava, infatti, che i consulenti apostolici, non potendo compiere
analisi autoptiche sul corpo del risanato, finivano per
tro¶{p. 170}varsi nei panni di quel medico che avesse voluto curare un
paziente senza che questo fosse al suo cospetto
[123]
. Eppure, come spiega la storica Silvia de Renzi: «contrariamente a quello
che potremmo aspettarci, il corpo non è mai stato la fonte di prove per un perito di
alto rango»
[124]
. Al punto che, informa Bradford Bouley, «gli esami di medici rinomati,
basati unicamente sulle testimonianze, erano ritenuti più attendibili delle osservazioni
di prima mano condotte da medici meno prestigiosi»
[125]
. Il teologo Agostino Matteucci, infine, si spingeva oltre e affermava che la
perizia dei periti ad testificandum – come nel XVII secolo il
giurista Giovanni Battista de Luca aveva definito i medici testimoni dell’accaduto
[126]
– fosse addirittura superflua nel caso in cui i testi avessero fornito con
precisione tutte le informazioni del caso: che la malattia fosse acuta, cronica; se ne
fosse nota la causa e l’origine e se le testimonianze confermassero che il malato o
l’ammalata manifestassero sintomi ad essa riconducibili; inoltre, se le testimonianze
attestassero l’applicazione dei rimedi previsti dall’arte, senza che essi avessero
ottenuto alcun effetto, ed escludessero l’insorgenza di crisi naturali. Date tali
premesse, concludeva l’autore, i periti convocati a posteriori avrebbero potuto emettere
un giudizio sicuro e approvare il miracolo
[127]
. Cosa che, però, non sempre accadeva. Della mancanza di indizi sufficienti e
circa la distorsione operata dal filtro di testimoni non competenti si lamentò Giovanni
Maria Lancisi, chiamato a verificare alcuni miracoli nel processo di beatificazione del
¶{p. 171}già citato gesuita francese Jean-François Régis. In principio
alla perizia sul settimo miracolo, traboccò:
poiché i medici non possono avere un’opinione certa sulla natura e l’esito delle malattie, se non conoscono sia le circostanze, che le cause da cui iniziarono e i sintomi con cui furono colpite, come è possibile continuare in modo che io stesso possa giudicare con certezza la vera natura [della malattia] e il suo corso, dal momento che soprattutto gli inizi sono nascosti? [...] Noi, insieme al promotore della fede, vorremmo sapere quali furono i rimedi applicati, non solo per giudicare se la guarigione dovesse essere ascritta al servo di Dio, invocato dalla donna o dal medicamento; ma anche per capire se [i rimedi] furono applicati correttamente o se fosse stato omesso qualcosa di necessario, da cui, dopo aver riconosciuto l’esperienza o la negligenza del chirurgo, io posso capire se tale fosse la malattia a cui lui si riferiva. Ma la perizia medica non può essere completata, dal momento che il chirurgo non è stato sentito, e i testimoni dicevano solo che lo sforzo del chirurgo è stato grande ma senza alcun successo [128] .
Fortunatamente, così non andò nel
caso di Carlo de Vivis. Innanzitutto perché si disponeva dell’articolato resoconto
dell’ordinario Vincenzo de Iorio; in secondo luogo, perché, diversamente da quanto
auspicava Felice Contelori, i periti convocati non furono due, ma uno. Il suo nome era
Isidoro Bacchetti, Romanus Philosophus et Medicus
[129]
. Purtroppo, le notizie sul suo conto sembrano essere piuttosto avare. Figlio
di Girolamo, viveva a Roma con la sua sposa, «in una casa posta al traversale della
Madonna verso Campo Marzio»
[130]
; pochi minuti a piedi dalla chiesa di San Lorenzo in Lucina, come si sa,
casa dei Chierici Regolari Minori. Una prossimità di ordine topografico che ne richiama
un’altra, politico-devozionale, sussistente tra i due contradaioli.
Filosofo e medico, si diceva. A
proposito del primo titolo, la Storia letteraria d’Italia,
compilata da Francesco Antonio Zacchia, lo ricorda autore, nel 1754, di una
Ani
¶
madversio. In essa rispondeva a un
libro di padre Urbano Tosetti, intitolato De societate mentis, et
corporis (1752), che era stato già oggetto di un’aspra critica da parte
del filosofo-teologo Luís António Verney (1713-1792). Tosetti difendeva l’idea che
l’anima umana avesse una sede fisica: il cervello. Nel suo responso «il Bacchetti non
solo ribadiva le accuse del Verney, ma muoveva ulteriori opposizioni alla teoria del Tosetti»
[131]
. Non era la prima volta che il nome
del medicus spuntava tra i documenti della Curia. Da quel che si è
potuto verificare, egli firmò le Dissertationes medico-physicae
(1753) nelle quali fu chiamato a esaminare sei casi di guarigione miracolosa, attribuiti
all’intercessione di Giovanni Sarkander (1576-1620), parroco boemo, morto martire dopo
esser stato torturato al cavalletto dagli eretici
[132]
.
A distanza di quasi un secolo dal
consulto di Lancisi, per Bacchetti il principio restava lo stesso: «nulla deve essere
considerato valido, nulla dovrebbe essere abbracciato con certezza, tranne ciò che è
stato chiaramente dimostrato dall’esperienza ferma e costante e da chiara ragione»
[133]
. Restava, tuttavia, una profonda differenza col caso di Giovanni di Prado
martire. Il voto che Bacchetti avrebbe dovuto stendere, non fu richiesto da un arbitro
imparziale, come lo fu il papa Clemente XI al tempo di Lancisi, ma dagli «uomini più
famosi (clarissimi) della famiglia dei Chierici Regolari Minori»
[134]
. Nonostante il frontespizio delle Dissertationes
reciterà «Isidoro Bacchetti ha scritto per la verità (quas pro veritate
[...] conscripsit Isidorus Bacchettius)», era
manifesto che il perito militasse nella squadra pro causa, con la
missione ¶{p. 173}di rispondere (reponamus) agli
argomenti, certo doctissimis e sapientissimis,
del promotore della fede
[135]
. «Scenderò quindi nell’arena – annunciava – e cercherò di confutare gli
argomenti opposti (opposta argumenta), sia per ragione, sia per
esperienza personale, e per i migliori autori»
[136]
. Esperienza, ragione e autorità erano, dunque, le armi che il medico aveva
scelto di impugnare. E se nella causa di Giovanni di Prado martire si sosteneva, con
tutta prudenza, che il voto richiesto al medico fosse «non a favore della causa, ma per
la verità», Bacchetti rivendicava apertamente: «mostrerò più chiaramente come le cure
improvvise di tali malattie non provengano da una natura irregolare, ma dal Dio più
efficiente e supremo, attraverso l’intercessione di Francesco Caracciolo, e che siano da
riferirsi nell’elenco dei miracoli»
[137]
. Un caso di petitio principii, si potrebbe obiettare,
in cui il dito di Dio, di là dallo spuntare solo a fine dimostrazione, era visibile fin
dall’esordio. Presupposto. Addirittura, a quel dito si affidava l’avvio dell’intera
dissertazione. D’altronde, quest’ultima non avrebbe potuto avere diversa partenza,
essendo stati i promotori della causa a convocare il medico. Quindi, di là dallo
schierarsi pro veritate, è il caso di dire che, nel processo,
Bacchetti figurasse in veste di medico ad opportunitatem o
pro miraculo.
Il vicario di Cristo, che in
principio non ebbe alcuna responsabilità ai fini della convocazione del medico, però,
veniva tirato in causa adesso, a conclusione dell’introduzione della disamina. Al
pontefice, il medico rivolgeva il suo ultimo e più grande appello: «dopo aver esaminato
queste opere meravigliose, compiute da un così grande uomo, non potrete non collocarlo
nel numero dei santi affinché i cristiani affidino a lui le preghiere più ferventi per
la maggior gloria di Dio»
[138]
.
¶{p. 174}
Note
[119] DSDB, lib. III, pars 1, cap. 7, nr. 8, trad. p. 171.
[120] G. Sodano, Il miracolo nel Mezzogiorno d’Italia dell’età moderna, cit., p. 274.
[121] F. Contelori, Tractatus et praxis de canonizatione sanctorum, cit., cap. 18, nr. 12, p. 209. Per informazioni biografiche, F. Petrucci, s.v. Contelori, Felice, in DBI, vol. 28, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1983, pp. 337-341.
[122] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 306; C.F. De Matta, Novissimus de sanctorum canonizatione tractatus, Romae, Nicolai Angeli Tinassij, 1678, lib. 4, cap. 12, nr. 27, p. 373.
[123] C.F. De Matta, Novissimus de sanctorum canonizatione tractatus, lib. 4, cap. 12, nr. 26, pp. 173-174.
[124] S. de Renzi, Witnesses of the Body: Medico-Legal Cases in Seventeenth Century Rome, cit., pp. 219-242, in particolare p. 238.
[125] B.A. Bouley, Negotiated Sanctity: Incorruption, Community, and Medical Expertise, in «The Catholic Historical Review», 52, 1 (2016), pp. 1-25, in particolare p. 7, n. 24.
[126] G.B. de Luca, Theatrum veritatis et justitiae, Venetiis, Ex Typographia Balleoniana, 1734, lib. 15, pars I, disc. 33, p. 99.
[127] A. Matteucci, Practica theologico-canonica, ad causas beatificationum et canonizationum pertractandas, Venetiis, Ex Typographia Balleoniana Apud Nicolaum Pezzana, 1722, lib. 3, cap. 5, nrr. 56-59, pp. 251-252.
[128] Cit. in A. Laverda, La nascita del sovrannaturale, cit., pp. 116-117.
[129] Dissertationes medico-physicae, in PSD, p. 1.
[130] E. Debenedetti, Artisti e artigiani a Roma, 2 voll., vol. II, Roma, Bonsignori, 2005, p. 108, n. 29.
[131] M. Capucci, R. Cremante e G. Gronda (a cura di), La biblioteca periodica. Repertorio dei giornali letterari del 6-700 in Emilia e in Romagna, 4 voll., vol. II, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 189-190.
[132] Dissertationes medico-physicae, in Joannes Sarcandri Presbyteri Secularis, et Parochi Holleschovviensis, Dioecesis Olomuncensis, Positio super dubio, Romae, Typis Reverendae Camerae Apostolicae, 1753, pp. 1-42.
[133] Dissertationes medico-physicae, in PSD, p. 1: «ut nihil sibi ratum habendum, nihil pro certo amplectendum putent, nisi quod firma constantique experientia, ac perspicua ratione evidenter sit comprobatum».
[134] Ivi, p. 2.
[135] Ivi, p. 1.
[136] Ivi, p. 2.
[137] Ibidem.
[138] Ibidem: «atque utinam. Beatissime Pater, Divinus Ille Spiritus, qui Pontificis Max. animum peculiari modo gubernat; eam tibi ingerat mentem, ut postea quam mira haec perpenderis opera a tanto viro peracta, eum in sanctorum numerum referendum constituas: ut majori inde Dei gloria ferventiores ad eum preces christiani homines fundant».