Stefano Daniele
Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c3
Certo, Lambertini, ancora lui, in un altro luogo del suo manuale, riconosceva: «tutti possono constatare che i consultori della Sacra Congregazione [...] possono procedere con più sicurezza nella discussione se vengono escussi i medici
{p. 169}presenti alla cura mentre si può affermare il contrario se manca la loro testimonianza» [119]
. Ma, in larga misura a partire dal Seicento, la sola testimonianza dei medici curanti, sebbene necessaria, cominciò a risultare insufficiente.
Infine, nel Settecento, documenta Sodano, i medici «non rappresentavano più pallide figure di testimoni convocati come comparse nei processi, ma erano parte attiva e fondamentale della stessa procedura di canonizzazione, che si va specializzando verso l’accertamento delle effettive guarigioni» [120]
.
Tra i canonisti, il ricorso ai medici fu incoraggiato da Felice Contelori (1588-1652). Il teologo, figlio del giudice criminale Giovanni Maria, nel suo Tractatus et praxis de canonizatione sanctorum (1634) auspicava che i miracoli fossero provati non solo dai testimoni oculari, ma anche da due esperti, medici o chirurghi, che non fossero presenti in loco, e che, dopo aver esaminato tutte le circostanze riportate dai primi, avrebbero dovuto concludere a favore dell’innaturalità degli eventi, quindi del loro afferire al piano soprannaturale [121]
. Una presenza, quella dei periti, che Carlo de Matta (1622 c.-1701) – autore del «più importante trattato di canonizzazione immediatamente prima del De servorum Dei», nel quale si «lasciava alla medicina molto più spazio di quanto avesse fatto qualsiasi altro predecessore» – non giustificava nel caso in cui la malattia fosse stata acuta, quindi mutevole in un breve lasso di tempo [122]
. Denunciava, infatti, che i consulenti apostolici, non potendo compiere analisi autoptiche sul corpo del risanato, finivano per tro{p. 170}varsi nei panni di quel medico che avesse voluto curare un paziente senza che questo fosse al suo cospetto [123]
. Eppure, come spiega la storica Silvia de Renzi: «contrariamente a quello che potremmo aspettarci, il corpo non è mai stato la fonte di prove per un perito di alto rango» [124]
. Al punto che, informa Bradford Bouley, «gli esami di medici rinomati, basati unicamente sulle testimonianze, erano ritenuti più attendibili delle osservazioni di prima mano condotte da medici meno prestigiosi» [125]
. Il teologo Agostino Matteucci, infine, si spingeva oltre e affermava che la perizia dei periti ad testificandum – come nel XVII secolo il giurista Giovanni Battista de Luca aveva definito i medici testimoni dell’accaduto [126]
– fosse addirittura superflua nel caso in cui i testi avessero fornito con precisione tutte le informazioni del caso: che la malattia fosse acuta, cronica; se ne fosse nota la causa e l’origine e se le testimonianze confermassero che il malato o l’ammalata manifestassero sintomi ad essa riconducibili; inoltre, se le testimonianze attestassero l’applicazione dei rimedi previsti dall’arte, senza che essi avessero ottenuto alcun effetto, ed escludessero l’insorgenza di crisi naturali. Date tali premesse, concludeva l’autore, i periti convocati a posteriori avrebbero potuto emettere un giudizio sicuro e approvare il miracolo [127]
. Cosa che, però, non sempre accadeva. Della mancanza di indizi sufficienti e circa la distorsione operata dal filtro di testimoni non competenti si lamentò Giovanni Maria Lancisi, chiamato a verificare alcuni miracoli nel processo di beatificazione del {p. 171}già citato gesuita francese Jean-François Régis. In principio alla perizia sul settimo miracolo, traboccò:
poiché i medici non possono avere un’opinione certa sulla natura e l’esito delle malattie, se non conoscono sia le circostanze, che le cause da cui iniziarono e i sintomi con cui furono colpite, come è possibile continuare in modo che io stesso possa giudicare con certezza la vera natura [della malattia] e il suo corso, dal momento che soprattutto gli inizi sono nascosti? [...] Noi, insieme al promotore della fede, vorremmo sapere quali furono i rimedi applicati, non solo per giudicare se la guarigione dovesse essere ascritta al servo di Dio, invocato dalla donna o dal medicamento; ma anche per capire se [i rimedi] furono applicati correttamente o se fosse stato omesso qualcosa di necessario, da cui, dopo aver riconosciuto l’esperienza o la negligenza del chirurgo, io posso capire se tale fosse la malattia a cui lui si riferiva. Ma la perizia medica non può essere completata, dal momento che il chirurgo non è stato sentito, e i testimoni dicevano solo che lo sforzo del chirurgo è stato grande ma senza alcun successo [128]
.
Fortunatamente, così non andò nel caso di Carlo de Vivis. Innanzitutto perché si disponeva dell’articolato resoconto dell’ordinario Vincenzo de Iorio; in secondo luogo, perché, diversamente da quanto auspicava Felice Contelori, i periti convocati non furono due, ma uno. Il suo nome era Isidoro Bacchetti, Romanus Philosophus et Medicus [129]
. Purtroppo, le notizie sul suo conto sembrano essere piuttosto avare. Figlio di Girolamo, viveva a Roma con la sua sposa, «in una casa posta al traversale della Madonna verso Campo Marzio» [130]
; pochi minuti a piedi dalla chiesa di San Lorenzo in Lucina, come si sa, casa dei Chierici Regolari Minori. Una prossimità di ordine topografico che ne richiama un’altra, politico-devozionale, sussistente tra i due contradaioli.
Filosofo e medico, si diceva. A proposito del primo titolo, la Storia letteraria d’Italia, compilata da Francesco Antonio Zacchia, lo ricorda autore, nel 1754, di una Ani
madversio
. In essa rispondeva a un libro di padre Urbano Tosetti, intitolato De societate mentis, et corporis (1752), che era stato già oggetto di un’aspra critica da parte del filosofo-teologo Luís António Verney (1713-1792). Tosetti difendeva l’idea che l’anima umana avesse una sede fisica: il cervello. Nel suo responso «il Bacchetti non solo ribadiva le accuse del Verney, ma muoveva ulteriori opposizioni alla teoria del Tosetti» [131]
.
Non era la prima volta che il nome del medicus spuntava tra i documenti della Curia. Da quel che si è potuto verificare, egli firmò le Dissertationes medico-physicae (1753) nelle quali fu chiamato a esaminare sei casi di guarigione miracolosa, attribuiti all’intercessione di Giovanni Sarkander (1576-1620), parroco boemo, morto martire dopo esser stato torturato al cavalletto dagli eretici [132]
.
A distanza di quasi un secolo dal consulto di Lancisi, per Bacchetti il principio restava lo stesso: «nulla deve essere considerato valido, nulla dovrebbe essere abbracciato con certezza, tranne ciò che è stato chiaramente dimostrato dall’esperienza ferma e costante e da chiara ragione» [133]
. Restava, tuttavia, una profonda differenza col caso di Giovanni di Prado martire. Il voto che Bacchetti avrebbe dovuto stendere, non fu richiesto da un arbitro imparziale, come lo fu il papa Clemente XI al tempo di Lancisi, ma dagli «uomini più famosi (clarissimi) della famiglia dei Chierici Regolari Minori» [134]
. Nonostante il frontespizio delle Dissertationes reciterà «Isidoro Bacchetti ha scritto per la verità (quas pro veritate [...] conscripsit Isidorus Bacchettius)», era manifesto che il perito militasse nella squadra pro causa, con la missione {p. 173}di rispondere (reponamus) agli argomenti, certo doctissimis e sapientissimis, del promotore della fede [135]
. «Scenderò quindi nell’arena – annunciava – e cercherò di confutare gli argomenti opposti (opposta argumenta), sia per ragione, sia per esperienza personale, e per i migliori autori» [136]
. Esperienza, ragione e autorità erano, dunque, le armi che il medico aveva scelto di impugnare. E se nella causa di Giovanni di Prado martire si sosteneva, con tutta prudenza, che il voto richiesto al medico fosse «non a favore della causa, ma per la verità», Bacchetti rivendicava apertamente: «mostrerò più chiaramente come le cure improvvise di tali malattie non provengano da una natura irregolare, ma dal Dio più efficiente e supremo, attraverso l’intercessione di Francesco Caracciolo, e che siano da riferirsi nell’elenco dei miracoli» [137]
. Un caso di petitio principii, si potrebbe obiettare, in cui il dito di Dio, di là dallo spuntare solo a fine dimostrazione, era visibile fin dall’esordio. Presupposto. Addirittura, a quel dito si affidava l’avvio dell’intera dissertazione. D’altronde, quest’ultima non avrebbe potuto avere diversa partenza, essendo stati i promotori della causa a convocare il medico. Quindi, di là dallo schierarsi pro veritate, è il caso di dire che, nel processo, Bacchetti figurasse in veste di medico ad opportunitatem o pro miraculo.
Il vicario di Cristo, che in principio non ebbe alcuna responsabilità ai fini della convocazione del medico, però, veniva tirato in causa adesso, a conclusione dell’introduzione della disamina. Al pontefice, il medico rivolgeva il suo ultimo e più grande appello: «dopo aver esaminato queste opere meravigliose, compiute da un così grande uomo, non potrete non collocarlo nel numero dei santi affinché i cristiani affidino a lui le preghiere più ferventi per la maggior gloria di Dio» [138]
.
{p. 174}
Note
[119] DSDB, lib. III, pars 1, cap. 7, nr. 8, trad. p. 171.
[120] G. Sodano, Il miracolo nel Mezzogiorno d’Italia dell’età moderna, cit., p. 274.
[121] F. Contelori, Tractatus et praxis de canonizatione sanctorum, cit., cap. 18, nr. 12, p. 209. Per informazioni biografiche, F. Petrucci, s.v. Contelori, Felice, in DBI, vol. 28, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1983, pp. 337-341.
[122] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 306; C.F. De Matta, Novissimus de sanctorum canonizatione tractatus, Romae, Nicolai Angeli Tinassij, 1678, lib. 4, cap. 12, nr. 27, p. 373.
[123] C.F. De Matta, Novissimus de sanctorum canonizatione tractatus, lib. 4, cap. 12, nr. 26, pp. 173-174.
[124] S. de Renzi, Witnesses of the Body: Medico-Legal Cases in Seventeenth Century Rome, cit., pp. 219-242, in particolare p. 238.
[125] B.A. Bouley, Negotiated Sanctity: Incorruption, Community, and Medical Expertise, in «The Catholic Historical Review», 52, 1 (2016), pp. 1-25, in particolare p. 7, n. 24.
[126] G.B. de Luca, Theatrum veritatis et justitiae, Venetiis, Ex Typographia Balleoniana, 1734, lib. 15, pars I, disc. 33, p. 99.
[127] A. Matteucci, Practica theologico-canonica, ad causas beatificationum et canonizationum pertractandas, Venetiis, Ex Typographia Balleoniana Apud Nicolaum Pezzana, 1722, lib. 3, cap. 5, nrr. 56-59, pp. 251-252.
[128] Cit. in A. Laverda, La nascita del sovrannaturale, cit., pp. 116-117.
[129] Dissertationes medico-physicae, in PSD, p. 1.
[130] E. Debenedetti, Artisti e artigiani a Roma, 2 voll., vol. II, Roma, Bonsignori, 2005, p. 108, n. 29.
[131] M. Capucci, R. Cremante e G. Gronda (a cura di), La biblioteca periodica. Repertorio dei giornali letterari del 6-700 in Emilia e in Romagna, 4 voll., vol. II, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 189-190.
[132] Dissertationes medico-physicae, in Joannes Sarcandri Presbyteri Secularis, et Parochi Holleschovviensis, Dioecesis Olomuncensis, Positio super dubio, Romae, Typis Reverendae Camerae Apostolicae, 1753, pp. 1-42.
[133] Dissertationes medico-physicae, in PSD, p. 1: «ut nihil sibi ratum habendum, nihil pro certo amplectendum putent, nisi quod firma constantique experientia, ac perspicua ratione evidenter sit comprobatum».
[134] Ivi, p. 2.
[135] Ivi, p. 1.
[136] Ivi, p. 2.
[137] Ibidem.
[138] Ibidem: «atque utinam. Beatissime Pater, Divinus Ille Spiritus, qui Pontificis Max. animum peculiari modo gubernat; eam tibi ingerat mentem, ut postea quam mira haec perpenderis opera a tanto viro peracta, eum in sanctorum numerum referendum constituas: ut majori inde Dei gloria ferventiores ad eum preces christiani homines fundant».