Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c3
Ai dubbi sollevati dal promotore
della fede, risposero gli avvocati difensori della causa, Domenico e Girolamo Colmeta. I
loro nomi tornano assieme in un’iscrizione posta «sul pavimento avanti la quarta
cappella destra» della chiesa di San Lorenzo in Lucina, a Roma
[64]
. Dall’incisione si apprende che il primo, Domenico, di Trevico
(Trivicanus), nei pressi di Benevento, fosse avvocato nella
città dei papi (in alma urbe advocatus)
[65]
. In Causis Sanctorum celebri, aggiungeva
¶{p. 154}una fonte di poco precedente
[66]
. Era zio di Girolamo – ex Thoma Germano fratre nepoti –
anch’egli avvocato nella stessa città (pariter in eadem urbe
advocato). E se, come si suppone, l’epigrafe mirava a commemorare il più
anziano avvocato, avendo essa per data «Anno Domini MDCCLIX», si potrebbe collocare la
responsio – o, almeno, la sezione a firma di Domenico – tra il
1756 (anno delle animadversiones) e il 1759, appunto
[67]
.
Come il promotore della fede, anche
gli avvocati Colmeta, in ultima battuta (punti 165-168), esaminarono la questione
dell’azione immaginifica nel contesto della guarigione di Carlo. All’attacco risposero
con l’attacco: «infine, le obiezioni più deboli riguardano i poteri dell’immaginazione
(ad nimium imbecillas confugiunt imaginationis vires), che ci
si sforza di ricavare dalle ferventi preghiere (quas aurire satagunt ex
ferventibus precibus) a cui il malato si è affidato (se
commendavit) all’intercessione del servo di Dio»
[68]
. Sebbene «anche questo ultimo appiglio (confugium)
delle animadversiones è del tutto inutile (inane
est)»
[69]
. Secondo fendente. Bastavano a dimostrarlo le parole di Onorato Fabri
[Honoré Fabri] (1607-1688), matematico-fisico e teologo gesuita francese, che gli
avvocati ricopiavano: «benché il potere dell’immaginazione produca effetti meravigliosi
(vis imaginationis mirificos effectus praestet), tuttavia non
c’è ragione che alcuni ¶{p. 155}inesperti nelle cose fisiche gli
attribuiscano delle conseguenze (aliquos effectus eidem tribuant),
che accadono dall’esterno ovviamente per miracolo (quos extrinsecus accidere
perspicuum est per miraculum)»
[70]
. Il passo era stralciato dal libro V, De appetitu
sensitivo del suo De homine (1664)
[71]
. A ben guardare, però, non solo il riferimento era impreciso – della
proposizione 49, si indicava il nr. 5, anziché il nr. 9 – ma il brano era stato in parte
epurato, come emerge mettendolo a confronto con l’originale; volontariamente, si sarebbe
portati a pensare una volta individuata la porzione di testo rimossa. L’originale,
difatti, recita: gli effetti meravigliosi, che il volgo attribuisce alla fantasia, sono
invece conseguibili «o attraverso il miracolo (vel per miraculum)»
– e, fin qui, nulla di scabroso sul piano dell’ortodossia – o «attraverso l’arte
cosiddetta diabolica (arte scilicet diabolica)»
[72]
. Per mezzo della magia, in altre parole; che per gran parte della tradizione
teologica cristiana, riformista e controriformista, da Lutero a Sisto V, al reverendo de
Cattani da Diacceto, era considerata perlopiù demoniaca
[73]
. Per un verso, viene ¶{p. 156}da pensare che per la Chiesa
del Settecento, illuminista ma non del tutto razionalista, magie e diavolerie destassero
meno scandalo; che simili credenze, partorite in un passato oscuro e oscurantista, alla
luce del presente apparissero non più che favole
[74]
. Tanto valeva trascurarle. Oppure, non era detta l’ultima ed essa continuava
a temere che il diavolo fosse in potere di ingannare e tentare, con le sue mirabilie,
anche il più ragionevole dei religiosi? A tal motivo, forse, si pensò bene di mettere il
demonio in ombra. Il caprone non meritava attenzioni. Insomma, è possibile la si ritenne
una questione di lana caprina a cui, per un motivo o per l’altro, si decise di negare attenzione
[75]
.
Gli avvocati riprendevano, invece,
il discorso sulla vis imaginativa e lo approfondivano.
Innanzitutto, valutarono opportuno illustrare il funzionamento della facoltà
immaginativa al fine di chiarificare la reale portata di quest’ultima: «è acclarato che
l’immaginazione o, come altri dicono, “fantasia”, non operi naturalmente con nessun
altro mezzo, né usi altro strumento che quello degli spiriti, che eccita con un nuovo
moto, affinché in vario modo tenda o rilassi ¶{p. 157}i nervi
(quos novo motu ciet, ut nervos varie contendat, aut laxet)»
[76]
.
Per cominciare, era bene soffermarsi
su questioni di carattere linguistico e sintattico: immaginazione è fantasia e fantasia
è immaginazione. L’equazione era piuttosto antica, ma subì variazioni nel corso del
tempo. Dal punto di vista linguistico, pare che i latini traducessero la parola greca
φαντασία con
phantasia e imaginatio, indistintamente
[77]
. Dal punto di vista sintattico, invece, in Occidente, l’equazione cominciò a
scricchiolare nel corso del Medioevo. Scoto Eriugena contrappose le sanctae
imaginationes supermundanorum intellectum (immagini sensibili delle
entità sopramondane) alle phantasiae (costruzioni arbitrarie
opposte alla realtà) – che, sul finire dell’anno Mille, anche Bernardo di Chiaravalle,
nei suoi sermoni, condannò come spurcitiarum phantasiae
[78]
. All’alba della modernità, la parola phantasia si
ricaricò del significato di forza creatrice, difficilmente riscontrabile nel concetto di
φαντασία
aristotelico, ma già presente, in germe, nella formulazione che della stessa idea
diedero gli Stoici e i Neoplatonici. Che in età moderna il concetto di vis
phantastica avesse raggiunto piena fioritura, lo provano le parole di
Agrippa von Nettesheim (lib. I, cap. 65) «le affezioni dell’anima che sono subordinate
alla phantasia, quando è forte, possono operare non solo sullo
stesso corpo, ma anche su un corpo esterno»
[79]
. Tornò Paracelso a riaprire il problema della concordanza tra
phantasia e imaginatio e a incrementare il
divario tra le due idee: vide ¶{p. 158}nella seconda una forza
plasmatrice e screditò la prima, riabilitando, in modo più o meno consapevole, i giudizi
che Eriugena e Bernardo di Chiaravalle avevano emesso in passato. Così sanzionò:
«fantasia non è immaginazione (die Phantasie ist nicht Imaginatio),
è la pietra angolare dell’ignoranza (Eckstein der Narrheit)»
[80]
. Finalmente, nella prima metà del Settecento, Prospero Lambertini tornò a
trattare la fantasia e l’immaginazione come sinonimi. Certo, nell’opera inedita,
Notae de miraculis, ripercorreva la storia dei due termini e
delle differenze di significato che la tradizione aveva conferito loro. Ricordava che
secondo una distinzione comune all’antichità, all’immaginazione era attribuito un
carattere passivo e riproduttivo, mentre alla fantasia attivo e combinatorio
[81]
. La prima riproduceva gli enti percepiti attualmente; la seconda combinava
gli elementi percettivi per rappresentare forme nuove (per esempio, la chimera) o di cui
possedeva una traccia mnestica. Tuttavia, l’autore prendeva le distanze da accuratezze
di sorta. Infatti, nel De servorum Dei beatificatione ribadiva che
simili distinzioni fossero trascurabili, nonché fosse inutile assegnare a ognuna delle
facoltà una particolare area del cervello
[82]
.
Sotto questo rispetto, gli avvocati
Colmeta dipendevano dal manuale di Prospero Lambertini. Lo dimostrerebbero le parole con
cui il passo succitato, tratto dalla responsio, si concludeva: «è
acclarato che l’immaginazione [...] non operi naturalmente con nessun altro mezzo, né
usi altro strumento che quello degli spiriti, che eccita con un nuovo moto, affinché in
vario modo tenda o rilassi i nervi (quos novo motu ciet, ut nervos varie
contendat, aut laxet)»
[83]
. Quest’ultima formula non era farina del loro sacco. A essere precisi, era
frutto dell’esperienza del già citato Giovanni Maria Lancisi,
¶{p. 159}medico romano e consulente curiale nelle cause di
beatificazione e canonizzazione, tra i più competenti e raffinati. In qualità di perito,
prese parte ad almeno undici processi e, sicuramente per merito, ma non meno per
simpatia (era medico personale di Clemente XI), fu favorito dal papa di onori e cariche;
come quella di protofisico generale di Roma e dello Stato Pontificio
[84]
. Non gli si tributarono solo favori e allori, però. Come Della Porta sul
finire del Cinquecento, finì anch’egli nel mirino dell’Inquisizione
[85]
.
Note
[64] V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal sec. XI fino ai giorni nostri, 14 voll., vol. V, Roma, Tipografia dei Fratelli Bencini, 1874, p. 139. Non è da escludere che la Responsio fosse stata iniziata dallo zio e terminata dal nipote a causa della dipartita del primo (di cui però non si conosce la data).
[65] P. Troyli, Istoria generale del reame di Napoli..., 10 voll., vol. I, part. 2, In Napoli, [s.e.], 1747, p. 319.
[66] P.A. Corsignani, Acta Sanctorum Martyrum simplicii, Constantii, et Victoriani, ... vindicata, Romae, Excudebat Joannes Generosus Salomoni, 1750, p. 250.
[67] Girolamo Colmeta dovette essere ancora vivo il 2 maggio 1796 se a tale data risale un suo testamento: «per mantenere, rispettivamente, un povero giovane in seminario» (relativo al comune di San Nicola Baronio, Circondario di Ariano) e «pel mantenimento di due poveri giovani in seminario» (relativo al comune di Trevico). Cfr. la sezione Lasciti per l’istruzione (Provincia di Avellino), in Ministero della Pubblica Istruzione, Bollettino Ufficiale, vol. VII, luglio, 1881, p. 604. Nonché al testamento si fa riferimento in una sentenza del 1867, stampata in F. Bettini e D. Giurati, Giurisprudenza italiana. Raccolta generale progressiva delle decisioni delle varie corti del Regno..., vol. XIX, Torino, Dall’Unione Tipografico-Editrice, 1867, pp. 756-761.
[68] Responsio, in PSD, nr. 165, p. 61.
[69] Ivi, nr. 166, p. 61.
[70] Ibidem. Per la biografia intellettuale di Honoré Fabri, cfr. M. Elazar, Honoré Fabri and the Concept of Impetus: A Bridge between Conceptual Frameworks, Dordrecht, Springer, 2011, pp. I-VIII.
[71] H. Fabri, Societatis Iesu Theologi, tractatus duo: quorum prior est De plantis, et De generatione animalium, posterior De homine, Parisiis, Apud Franciscum Muguet, Regis ac Illustris Archiepiscopi Parisiensis Typographum via Citharae, ad insigne Adorationis trium Regum, 1666. L’Imprimatur («potestatem facimus ut typis mandetur»), firmato dal preposito generale della Compagnia di Gesù, Giovanni Paolo Oliva, reca data: «Romae 3 septembris 1664».
[72] Ivi, p. 440.
[73] In ambito protestante, si consideri il sermone di Lutero in D. Martin Luthers Vollständige Kirchen-Postill, a cura di J.G. Walch, Halle im Magdeburgischen, Gebauer, 1737, pp. 199-200. È sorprendente constatare quanto simili parole vibrino all’unisono con quelle del Faust Volksbuch (1587), opera antimagica stampata dall’editore protestante Johann Spies: cfr. J. Spies, Storia del dottor Faust, ben noto mago e negromante, a cura di M.E. D’Agostini, Milano, Garzanti, 1980. La storia del testo è ricostruita da F. Baron, Faustus on Trial. The Origins of Johann Spies’s «Historia» in an Age of Witch Hunting, Tübingen, Niemeyer, 1992. In ambito cattolico, cfr. M.F. de Cattani, Discorso del Reverendo M. Francesco de Cattani da Diacceto Gentil’Huomo et Canonico di Firenze et Protonotario Apostolico, Sopra la superstizione dell’arte magica, In Fiorenza, Appresso Valente Panizzi et Marco Peri C., 1567. Che la magia (compresa l’astrologia giudiziaria) fosse considerata strettamente imparentata con l’arte diabolica sarà, poi, sottoscritto dal breve di Sisto V, Constitutione della santità di n.s. Sisto papa quinto contra coloro, ch’essercitano l’arte dell’astrologia giudiciaria, & qualunque altra sorte di divinationi, sortilegij, superstitioni, strigarie, incanti, &c. et contra coloro, che leggono & tengono libri intorno a tal materia &c. Tradotta in volgare per ordine di monsignor illustriss. & reuerendiss. cardinale Paleotti arcivescovo di Bologna, Roma, Da gli Heredi di Antonio Blado Stampatori Camerali, 1586. Cfr. D. Verardi, Astrologia e Controriforma. A proposito della «Coeli et terrae» di Sisto V, in «Sapienza», 62, 3-4 (2009), pp. 349-356.
[74] R. Messbarger, The Art and Science of Human Anatomy in Benedict’s Vision of the Enlightenment Church, in R. Messbarger, C.M.S. Johns e P. Gavitt (a cura di), Benedict XIV and the Enlightenment. Art, Science, and Spirituality, Toronto, University of Toronto Press, 2016, pp. 93-119. M. Caffiero, Battesimi forzati. Storie di Ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi, Roma, Viella, 2004, p. 73, non tralascia di considerare le preoccupazioni covate da Lambertini dinanzi all’avanzare della cultura illuminista.
[75] G. Sodano, Il miracolo nel Mezzogiorno d’Italia dell’età moderna, cit., p. 279.
[76] Responsio, in PSD, nr. 166, p. 61: «plane imaginatio, seu, quam alii dicunt, Phantasia, non alia naturaliter ratione operatur, nec alio instrumento utitur, quam spiritibus, quos novo motu ciet, ut nervos varie contendat, aut laxet».
[77] M. Fattori e M. Bianchi (a cura di), Phantasia-Imaginatio. V Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo (Roma, 9-11 gennaio 1986), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1988, pp. 3-20.
[78] A.M. Bautier, Phantasia-Imaginatio. De l’image à l’imaginaire dans les textes du haut Moyen Âge, in M. Fattori e M. Bianchi (a cura di), Phantasia-Imaginatio, cit., pp. 81-104, in particolare pp. 87-89.
[79] H.C. Agrippa von Nettesheim, De Occulta Philosophia, in Opera, a cura di R. Popkin, 2 voll., vol. I, Hildesheim, Olms, 1970 (ed. or. Opera, 2 voll., Lugduni, Per Beringos fratres, [s.d.]).
[80] Paracelsus [T.B. von Hohenheim], Fragmentum libri De virtute imaginativa, in Sämtliche Werke, cit., p. 484.
[81] E. Alessandrini, «Creder tutto... creder nulla». Il Notae de miraculis: opera inedita del cardinal Prospero Lambertini (Benedetto XIV), sui fenomeni straordinari magico-superstiziosi, Assisi, S. Mariae Angelorum, 1995, pp. 98-99.
[82] DSDB, DI, nr. 11.
[83] Responsio, in PSD, nr. 166, p. 61.
[84] C. Preti, s.v. Lancisi, Giovanni Maria, in DBI, vol. 63, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2004, pp. 360-364. Partecipò in qualità di perito alle cause di Giacomo della Marca, Felice da Cantalice, papa Pio V, Francisco Solano, Stanislao Kostka, Toribio de Mogrovejo, Jean-François Régis, Juan de Prado, Giacinta Marescotti, Gregorio X, Pierre Fourier. Cfr. A. Laverda, La nascita del sovrannaturale, cit., p. 112, n. 66. La letteratura secondaria sul medico e la sua opera è sconfinata. Ci si limita a citare M.P. Donato, The Mechanical Medicine of a Pious Man of Science: Pathological Anatomy, Religion and Papal Patronage in Lancisi’s «De subitaneis mortibus» (1707), in M.P. Donato e J. Kraye (a cura di), Conflicting Duties: Science, Medicine and Religion in Rome, 1550-1750, London, Warburg Institute, 2009, pp. 319-352; e i risultati del gruppo di ricerca coordinato da A. Romano, Rome et la science moderne. Entre Renaissance et Lumières, Roma, Publications de l’École française de Rome, 2009. In generale, sui medici alla corte papale cfr. E. Andretta, Medici e pubblico al capezzale dei papi: Gian Francesco Marengo, Michele Mercati e la narrazione della morte del pontefice, in B. Borello (a cura di), Pubblico e pubblici di antico regime, Pisa, Pacini, 2009, pp. 73-99.
[85] V. Frajese, Giovanni Maria Lancisi e i Bianchi. Il processo del 1690, in G. Dall’Olio, A. Malena e P. Scaramella (a cura di), La fede degli italiani. Per Adriano Prosperi, 3 voll., vol. I, Pisa, Edizioni della Normale, 2011, pp. 97-114. C. Carella, Roma filosofica, nicodemita, libertina. Scienze e censura in età moderna, Roma, Agorà, 2014, pp. 143-152 pubblica in appendice il sommario del processo contro Lancisi e la relazione anonima della storia dei Bianchi conservata presso la Biblioteca Vaticana.