Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c3
An
[Christus] per imaginationem
miraculizaverit? Come il teologo Francesco Bordoni al tramontare del
Seicento, l’illuminista cattolico rispose negativamente (Meditatio
III, quaestio 15)
[41]
. Stabilì che «le condizioni mediche che fossero
¶{p. 149}essere causate o curate attraverso i poteri dell’immaginazione
avrebbero dovuto essere escluse dal dominio della guarigione miracolosa [...]
restringendo l’ambito del miracoloso alle malattie la cui eziologia e cura si supponeva
coinvolgessero il solo corpo»
[42]
. Perché, nelle patologie mentali (epilessia, mania, malinconia, furori
lunatici, ecc.) o in quelle corporee influenzate da esse – quando il diavolo non vi
nascondeva la coda – l’impronta di Dio restava purtuttavia difficile da rintracciare
[43]
. Le conseguenze di una simile scelta, nota sempre Vidal, erano duplici: se
per un verso l’immaginazione «riduceva l’estensione del miracoloso», dall’altro «ogni
cura che sfuggiva il suo range di spiegazione poteva diventare,
sotto uno scrutinio appropriato, un miracolo»
[44]
.
Queste le coordinate all’interno
delle quali si giocheranno le positiones. Per quanto il promotore
della fede, Benedetto Veterani, non menzionò mai, esplicitamente, la sezione
De imaginatione, et eius viribus – sebbene, a più riprese, fece
riferimento al manuale che la ospitava. Citò, però, una batteria di autori dei secoli
XVI e XVII, alle cui dottrine in materia di immaginazione lo stesso Lambertini attinse
per elaborare le proprie tesi. Il De servorum Dei, difatti, seguiva
la cosiddetta «tradizione», «incorporando cumulativamente la letteratura precedente
pertinente e aggiornando gli argomenti in modo da rafforzare le verità proclamate ufficialmente»
[45]
. Così, nelle animadversiones si riaffacciavano le
argomentazioni del teologo domenicano Francisco de Araujo (Araxo) (1580-1664), di
Marcello Donati (1538-1602), di Paolo Zacchia (1584-1659), del cardinale Federico
Borromeo ¶{p. 150}(1564-1631), nonché del più vicino, in ordine di
tempo, Ludovico Muratori
[46]
.
Non solo i «sapientissimi
sostenitori», però, avevano fede nei poteri trasformatori dell’immaginazione. Il
promotore faceva notare che lo stesso Carlo de Vivis, al risveglio – e con questi il
sotto infermiere Porcelli, tra i primi a fargli visita – in un momento iniziale,
supposero che l’intervento riparatore potesse farsi risalire alla fantasia; rinfocolata
dalla ripetuta contemplazione dell’effigie del venerabile e dalle ardenti preghiere che,
senza tregua, il giovane indirizzava a quest’ultimo. Come recitava la testimonianza di
de Vivis, che ora il promotore riportava: «svegliandomi e volendo far esperimento se
fosse stata vera visione in sonno, o effetto della mia fantasia, colla quale avevo
principiato a dormire per le veementi preghiere, che precedentemente avevo dirizzato al
venerabile padre Caracciolo per la mia salute»; e come testimoniavano le parole del
sotto infermiere che, come ricordò Carlo, sospettò «poteva essere anche una fantasia»
[47]
.
D’altro canto, il medico de Iorio
sostenne: «che nel caso concreto la fantasia non avrebbe potuto avere gran valore»
[48]
. Ma «la mente (animus) non acconsente alle ragioni da
lui addotte», prendeva le distanze l’avvocato del diavolo
[49]
. Cioè, dall’idea secondo cui quandanche – «contro ogni regola dell’Arte»,
rivendicava de Iorio – si fosse ammesso che il vomito cruento non avesse avuto origine
nei polmoni, a causa della rottura dei vasi sanguigni, o dei capillari bronchiali (o per
la marcescenza della loro materia), ma in una non meglio specificata parte del petto,
per apertura – invece che rottura – dei dotti; «la fantasia, unitamente coll’aiuto della
natura, avrebbe potuto tornare a chiuderli»; ma «ci sarebbe stato bisogno del lungo
tempo dell’applicazione de medicamenti per curarli»
[50]
.¶{p. 151}
Non inquam
acquiescit: non acconsento! Prorompeva il promotore; e suggeriva di
ripartire dal principio (quaestio petit semper suum principium)
[51]
. Innanzitutto «i segni della malattia non portano a concludere che essa
provenisse dalla materia ulcerata del polmone, ma solo dal sangue accumulato nello
stomaco, che fu subito espulso, naturalmente; e per opera dei medicamenti, tramite crisi
benigne, si poté annientare immediatamente e in modo naturale»
[52]
. Lo stesso, infatti, aveva già sostenuto al punto 12°; che quando il sangue
appare «denso e grumoso, maleodorante, corrotto e di colore nero (concretus et
grumosus, male olens, corruptus, et atrum habens colorem)» – come nel
caso di Carlo – esso non sgorgherebbe dal polmone (non effertur ex
pulmone), ma dallo stomaco
[53]
. Pertanto, più che di emottisi (non ad haemoptysin) –
nella quale il sangue è brillante, scarlatto e, perché frammisto all’aria, schiumoso
(qui proditur, floridus est, et coccineus, et propter intermixtum aerem
spumescit) – si sarebbe dovuto parlare di emorragia gastrica
(haemorrhagia ventriculi)
[54]
. La quale, a differenza dell’altra patologia, è più facile a guarirsi
(ad facile curabilem)
[55]
. Vale a dire, non rappresenta un caso disperato, al più – come si vedrà –
cronico. Qui, come Sodano nota nelle animadversiones compilate per
la congregazione antepreparatoria del 9 marzo 1767, riunitasi
nell’ambito della canonizzazione del gesuita Francesco de Geronimo, «emerge come ormai
il promotore della fede si fosse attrezzato fino al punto di criticare la definizione
stessa delle malattie presentate dai postulatori»
[56]
.
A fronte di quanto detto, l’avvocato
del diavolo concludeva recisamente: «anche se infermo, stimolato dalle forze
¶{p. 152}della fantasia (percitus viribus
phantasiae), [Carlo] avrebbe potuto credere di essere guarito in modo
soprannaturale (credere potuerit sanationem supernaturaliter
contigisse)»
[57]
. Oltre alle crisi naturali, o indotte tramite farmaci, dunque, era probabile
che a sanare il fraticello avesse contribuito la forza dell’immaginazione. La propria.
Di casi simili, la letteratura della
prima modernità era affollata. Non solo quella attinente ai santi, ma anche la
trattatistica di stampo demonologico, magico, legale e medico. A risultarne era «un’area
di sovrapposizione», come la definisce Vidal
[58]
; un fascio di piani secato da un’unica retta: la teoria dell’immaginazione;
«dalla medicina alla filosofia, dalle arti al sistema di giustizia, l’idea era standard,
includendo i trattati di canonizzazione», continua lo studioso
[59]
. Benedetto XIV ricordava l’episodio di una donna ammalata perché persuasa di
aver ingoiato un serpente: la si indusse al vomito e si nascose una serpe nella sostanza
rigettata. Quando l’ammalata la scorse, immediatamente guarì
[60]
; e Montaigne, addirittura, sosteneva che la semplice visione di una
medicina, prima ancora di portarla alla bocca, fosse sufficiente a risanare un male
[61]
.
Il promotore concludeva la
trattazione assestando un ultimo fendente. Al punto 41° si accaniva sul tema della
«perfezione» della sanazione, magnificata a più riprese, nel corso del processo, dai
fratelli della Pietrasanta e dal medico de Iorio. Come si è avuto modo di dire, una
condizione considerata necessaria, quest’ultima – assieme alla prognosi infausta della
malattia, alla non insorgenza di crisi, all’immediatezza della guarigione, all’assenza
di metastasi o ricadute – affinché una cura fosse riconoscibile come miracolosa.
Veterani sostenne che, a distanza di tre anni dal processo, nel momento in cui scriveva,
fosse avventato ritenere il morbo perfettamente estinto; e che fosse azzardato
sconfessarne la ¶{p. 153}probabile recidività: «quando i testimoni
furono sottoposti all’esame nel marzo del 1753, fino ad oggi solo tre anni, non sembrava
certo che vi potesse essere certezza che in così poco tempo lo stomaco fosse guarito da
un’emorragia, la cui natura è reversibile anche dopo molti anni (quae indole
sua est reversiva, etiam post plurium annorum decursum)»
[62]
; come aveva sottoscritto, sulla base delle testimonianze dei medici,
Prospero Lambertini: «sul vomito sanguinolento o sulla emorragia gastrica, i medici
ritengono possa ritornare anche dopo che siano trascorsi vari anni (reverti
etiam post annorum decursum)»
[63]
.
Riassumendo, la malattia era da
ritenersi causata da un’emorragia gastrica; la crisi, che aveva liberato il giovane dal
male, era di tipo naturale: favorita dall’apporto di farmaci, nonché dalla fantasia
dell’ammalato; essa fu istantanea; nonostante tutto, in quel 1756, non vi erano gli
estremi temporali per poter considerare il male del tutto estinto.
Le prove a dimostrazione
dell’intervento miracoloso erano, così, fugate.
3. Il dito di Dio
Ai dubbi sollevati dal promotore
della fede, risposero gli avvocati difensori della causa, Domenico e Girolamo Colmeta. I
loro nomi tornano assieme in un’iscrizione posta «sul pavimento avanti la quarta
cappella destra» della chiesa di San Lorenzo in Lucina, a Roma
[64]
. Dall’incisione si apprende che il primo, Domenico, di Trevico
(Trivicanus), nei pressi di Benevento, fosse avvocato nella
città dei papi (in alma urbe advocatus)
[65]
. In Causis Sanctorum celebri, aggiungeva
¶{p. 154}una fonte di poco precedente
[66]
. Era zio di Girolamo – ex Thoma Germano fratre nepoti –
anch’egli avvocato nella stessa città (pariter in eadem urbe
advocato). E se, come si suppone, l’epigrafe mirava a commemorare il più
anziano avvocato, avendo essa per data «Anno Domini MDCCLIX», si potrebbe collocare la
responsio – o, almeno, la sezione a firma di Domenico – tra il
1756 (anno delle animadversiones) e il 1759, appunto
[67]
.
Note
[41] Ivi, p. 307. F. Bordoni, Opus posthumum, Consistens in diversis meditationibus, ordine contexto super miraculorum essentiam, et qualitatem, Parmae, Pauli Monti, 1703, p. x e discussione a p. 50.
[42] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 297.
[43] Ivi, p. 298. Circa la propensione del diavolo a colpire soggetti affetti da malattie mentali, cfr. J. Cédard, Folie et démonologie au XVIe siècle, in A. Gerlo (a cura di), Folie et déraison à la Renaissance, Bruxelles, Editions de l’Université de Bruxelles, 1976, pp. 129-148.
[44] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 317.
[45] Ivi, p. 307.
[46] Animadversiones, in PSD, nr. 39, p. 14.
[47] Ivi, nr. 39, pp. 14-15; AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 49r.
[48] Animadversiones, in PSD, nr. 40, p. 15.
[49] Ibidem.
[50] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, ff. 79v-80r, cit. in Animadversiones, in PSD, nr. 40, p. 15.
[51] Animadversiones, in PSD, nr. 40, p. 15.
[52] Ibidem: «signa morbi non concludunt, illum processisse ex ulcerata pulmonis substantia, sed tantum ex sanguine in ventriculo aggesto, qui statim ac ejectus fuit, naturaliter, et ope remediorum per benignas crises, in instanti naturaliter debellari potuit».
[53] Ivi, nr. 12, p. 6. Si cita la parafrasi in Responsio, in PSD, nr. 74, p. 27.
[54] Animadversiones, in PSD, nr. 12, pp. 5-6.
[55] Ivi, nr. 12, p. 6.
[56] G. Sodano, Il miracolo nel Mezzogiorno d’Italia dell’età moderna, cit., p. 266.
[57] Animadversiones, in PSD, nr. 40, p. 15.
[58] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 303.
[59] Ivi, p. 305.
[60] DSDB, DI, nr. 25.
[61] Ivi, nr. 26.
[62] Animadversiones, in PSD, nr. 41, p. 15.
[63] DSDB, lib. IV, pars I, cap. 16, nr. 19, trad. p. 523.
[64] V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal sec. XI fino ai giorni nostri, 14 voll., vol. V, Roma, Tipografia dei Fratelli Bencini, 1874, p. 139. Non è da escludere che la Responsio fosse stata iniziata dallo zio e terminata dal nipote a causa della dipartita del primo (di cui però non si conosce la data).
[65] P. Troyli, Istoria generale del reame di Napoli..., 10 voll., vol. I, part. 2, In Napoli, [s.e.], 1747, p. 319.
[66] P.A. Corsignani, Acta Sanctorum Martyrum simplicii, Constantii, et Victoriani, ... vindicata, Romae, Excudebat Joannes Generosus Salomoni, 1750, p. 250.
[67] Girolamo Colmeta dovette essere ancora vivo il 2 maggio 1796 se a tale data risale un suo testamento: «per mantenere, rispettivamente, un povero giovane in seminario» (relativo al comune di San Nicola Baronio, Circondario di Ariano) e «pel mantenimento di due poveri giovani in seminario» (relativo al comune di Trevico). Cfr. la sezione Lasciti per l’istruzione (Provincia di Avellino), in Ministero della Pubblica Istruzione, Bollettino Ufficiale, vol. VII, luglio, 1881, p. 604. Nonché al testamento si fa riferimento in una sentenza del 1867, stampata in F. Bettini e D. Giurati, Giurisprudenza italiana. Raccolta generale progressiva delle decisioni delle varie corti del Regno..., vol. XIX, Torino, Dall’Unione Tipografico-Editrice, 1867, pp. 756-761.