Stefano Daniele
Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c3
An [Christus] per imaginationem miraculizaverit? Come il teologo Francesco Bordoni al tramontare del Seicento, l’illuminista cattolico rispose negativamente (Meditatio III, quaestio 15) [41]
. Stabilì che «le condizioni mediche che fossero
{p. 149}essere causate o curate attraverso i poteri dell’immaginazione avrebbero dovuto essere escluse dal dominio della guarigione miracolosa [...] restringendo l’ambito del miracoloso alle malattie la cui eziologia e cura si supponeva coinvolgessero il solo corpo» [42]
. Perché, nelle patologie mentali (epilessia, mania, malinconia, furori lunatici, ecc.) o in quelle corporee influenzate da esse – quando il diavolo non vi nascondeva la coda – l’impronta di Dio restava purtuttavia difficile da rintracciare [43]
. Le conseguenze di una simile scelta, nota sempre Vidal, erano duplici: se per un verso l’immaginazione «riduceva l’estensione del miracoloso», dall’altro «ogni cura che sfuggiva il suo range di spiegazione poteva diventare, sotto uno scrutinio appropriato, un miracolo» [44]
.
Queste le coordinate all’interno delle quali si giocheranno le positiones. Per quanto il promotore della fede, Benedetto Veterani, non menzionò mai, esplicitamente, la sezione De imaginatione, et eius viribus – sebbene, a più riprese, fece riferimento al manuale che la ospitava. Citò, però, una batteria di autori dei secoli XVI e XVII, alle cui dottrine in materia di immaginazione lo stesso Lambertini attinse per elaborare le proprie tesi. Il De servorum Dei, difatti, seguiva la cosiddetta «tradizione», «incorporando cumulativamente la letteratura precedente pertinente e aggiornando gli argomenti in modo da rafforzare le verità proclamate ufficialmente» [45]
. Così, nelle animadversiones si riaffacciavano le argomentazioni del teologo domenicano Francisco de Araujo (Araxo) (1580-1664), di Marcello Donati (1538-1602), di Paolo Zacchia (1584-1659), del cardinale Federico Borromeo {p. 150}(1564-1631), nonché del più vicino, in ordine di tempo, Ludovico Muratori [46]
.
Non solo i «sapientissimi sostenitori», però, avevano fede nei poteri trasformatori dell’immaginazione. Il promotore faceva notare che lo stesso Carlo de Vivis, al risveglio – e con questi il sotto infermiere Porcelli, tra i primi a fargli visita – in un momento iniziale, supposero che l’intervento riparatore potesse farsi risalire alla fantasia; rinfocolata dalla ripetuta contemplazione dell’effigie del venerabile e dalle ardenti preghiere che, senza tregua, il giovane indirizzava a quest’ultimo. Come recitava la testimonianza di de Vivis, che ora il promotore riportava: «svegliandomi e volendo far esperimento se fosse stata vera visione in sonno, o effetto della mia fantasia, colla quale avevo principiato a dormire per le veementi preghiere, che precedentemente avevo dirizzato al venerabile padre Caracciolo per la mia salute»; e come testimoniavano le parole del sotto infermiere che, come ricordò Carlo, sospettò «poteva essere anche una fantasia» [47]
.
D’altro canto, il medico de Iorio sostenne: «che nel caso concreto la fantasia non avrebbe potuto avere gran valore» [48]
. Ma «la mente (animus) non acconsente alle ragioni da lui addotte», prendeva le distanze l’avvocato del diavolo [49]
. Cioè, dall’idea secondo cui quandanche – «contro ogni regola dell’Arte», rivendicava de Iorio – si fosse ammesso che il vomito cruento non avesse avuto origine nei polmoni, a causa della rottura dei vasi sanguigni, o dei capillari bronchiali (o per la marcescenza della loro materia), ma in una non meglio specificata parte del petto, per apertura – invece che rottura – dei dotti; «la fantasia, unitamente coll’aiuto della natura, avrebbe potuto tornare a chiuderli»; ma «ci sarebbe stato bisogno del lungo tempo dell’applicazione de medicamenti per curarli» [50]
.{p. 151}
Non inquam acquiescit: non acconsento! Prorompeva il promotore; e suggeriva di ripartire dal principio (quaestio petit semper suum principium) [51]
. Innanzitutto «i segni della malattia non portano a concludere che essa provenisse dalla materia ulcerata del polmone, ma solo dal sangue accumulato nello stomaco, che fu subito espulso, naturalmente; e per opera dei medicamenti, tramite crisi benigne, si poté annientare immediatamente e in modo naturale» [52]
. Lo stesso, infatti, aveva già sostenuto al punto 12°; che quando il sangue appare «denso e grumoso, maleodorante, corrotto e di colore nero (concretus et grumosus, male olens, corruptus, et atrum habens colorem)» – come nel caso di Carlo – esso non sgorgherebbe dal polmone (non effertur ex pulmone), ma dallo stomaco [53]
. Pertanto, più che di emottisi (non ad haemoptysin) – nella quale il sangue è brillante, scarlatto e, perché frammisto all’aria, schiumoso (qui proditur, floridus est, et coccineus, et propter intermixtum aerem spumescit) – si sarebbe dovuto parlare di emorragia gastrica (haemorrhagia ventriculi) [54]
. La quale, a differenza dell’altra patologia, è più facile a guarirsi (ad facile curabilem) [55]
. Vale a dire, non rappresenta un caso disperato, al più – come si vedrà – cronico. Qui, come Sodano nota nelle animadversiones compilate per la congregazione antepreparatoria del 9 marzo 1767, riunitasi nell’ambito della canonizzazione del gesuita Francesco de Geronimo, «emerge come ormai il promotore della fede si fosse attrezzato fino al punto di criticare la definizione stessa delle malattie presentate dai postulatori» [56]
.
A fronte di quanto detto, l’avvocato del diavolo concludeva recisamente: «anche se infermo, stimolato dalle forze {p. 152}della fantasia (percitus viribus phantasiae), [Carlo] avrebbe potuto credere di essere guarito in modo soprannaturale (credere potuerit sanationem supernaturaliter contigisse [57]
. Oltre alle crisi naturali, o indotte tramite farmaci, dunque, era probabile che a sanare il fraticello avesse contribuito la forza dell’immaginazione. La propria.
Di casi simili, la letteratura della prima modernità era affollata. Non solo quella attinente ai santi, ma anche la trattatistica di stampo demonologico, magico, legale e medico. A risultarne era «un’area di sovrapposizione», come la definisce Vidal [58]
; un fascio di piani secato da un’unica retta: la teoria dell’immaginazione; «dalla medicina alla filosofia, dalle arti al sistema di giustizia, l’idea era standard, includendo i trattati di canonizzazione», continua lo studioso [59]
. Benedetto XIV ricordava l’episodio di una donna ammalata perché persuasa di aver ingoiato un serpente: la si indusse al vomito e si nascose una serpe nella sostanza rigettata. Quando l’ammalata la scorse, immediatamente guarì [60]
; e Montaigne, addirittura, sosteneva che la semplice visione di una medicina, prima ancora di portarla alla bocca, fosse sufficiente a risanare un male [61]
.
Il promotore concludeva la trattazione assestando un ultimo fendente. Al punto 41° si accaniva sul tema della «perfezione» della sanazione, magnificata a più riprese, nel corso del processo, dai fratelli della Pietrasanta e dal medico de Iorio. Come si è avuto modo di dire, una condizione considerata necessaria, quest’ultima – assieme alla prognosi infausta della malattia, alla non insorgenza di crisi, all’immediatezza della guarigione, all’assenza di metastasi o ricadute – affinché una cura fosse riconoscibile come miracolosa. Veterani sostenne che, a distanza di tre anni dal processo, nel momento in cui scriveva, fosse avventato ritenere il morbo perfettamente estinto; e che fosse azzardato sconfessarne la {p. 153}probabile recidività: «quando i testimoni furono sottoposti all’esame nel marzo del 1753, fino ad oggi solo tre anni, non sembrava certo che vi potesse essere certezza che in così poco tempo lo stomaco fosse guarito da un’emorragia, la cui natura è reversibile anche dopo molti anni (quae indole sua est reversiva, etiam post plurium annorum decursum [62]
; come aveva sottoscritto, sulla base delle testimonianze dei medici, Prospero Lambertini: «sul vomito sanguinolento o sulla emorragia gastrica, i medici ritengono possa ritornare anche dopo che siano trascorsi vari anni (reverti etiam post annorum decursum [63]
.
Riassumendo, la malattia era da ritenersi causata da un’emorragia gastrica; la crisi, che aveva liberato il giovane dal male, era di tipo naturale: favorita dall’apporto di farmaci, nonché dalla fantasia dell’ammalato; essa fu istantanea; nonostante tutto, in quel 1756, non vi erano gli estremi temporali per poter considerare il male del tutto estinto.
Le prove a dimostrazione dell’intervento miracoloso erano, così, fugate.

3. Il dito di Dio

Ai dubbi sollevati dal promotore della fede, risposero gli avvocati difensori della causa, Domenico e Girolamo Colmeta. I loro nomi tornano assieme in un’iscrizione posta «sul pavimento avanti la quarta cappella destra» della chiesa di San Lorenzo in Lucina, a Roma [64]
. Dall’incisione si apprende che il primo, Domenico, di Trevico (Trivicanus), nei pressi di Benevento, fosse avvocato nella città dei papi (in alma urbe advocatus) [65]
. In Causis Sanctorum celebri, aggiungeva
{p. 154}una fonte di poco precedente [66]
. Era zio di Girolamo – ex Thoma Germano fratre nepoti – anch’egli avvocato nella stessa città (pariter in eadem urbe advocato). E se, come si suppone, l’epigrafe mirava a commemorare il più anziano avvocato, avendo essa per data «Anno Domini MDCCLIX», si potrebbe collocare la responsio – o, almeno, la sezione a firma di Domenico – tra il 1756 (anno delle animadversiones) e il 1759, appunto [67]
.
Note
[41] Ivi, p. 307. F. Bordoni, Opus posthumum, Consistens in diversis meditationibus, ordine contexto super miraculorum essentiam, et qualitatem, Parmae, Pauli Monti, 1703, p. x e discussione a p. 50.
[42] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 297.
[43] Ivi, p. 298. Circa la propensione del diavolo a colpire soggetti affetti da malattie mentali, cfr. J. Cédard, Folie et démonologie au XVIe siècle, in A. Gerlo (a cura di), Folie et déraison à la Renaissance, Bruxelles, Editions de l’Université de Bruxelles, 1976, pp. 129-148.
[44] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 317.
[45] Ivi, p. 307.
[46] Animadversiones, in PSD, nr. 39, p. 14.
[47] Ivi, nr. 39, pp. 14-15; AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 49r.
[48] Animadversiones, in PSD, nr. 40, p. 15.
[49] Ibidem.
[50] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, ff. 79v-80r, cit. in Animadversiones, in PSD, nr. 40, p. 15.
[51] Animadversiones, in PSD, nr. 40, p. 15.
[52] Ibidem: «signa morbi non concludunt, illum processisse ex ulcerata pulmonis substantia, sed tantum ex sanguine in ventriculo aggesto, qui statim ac ejectus fuit, naturaliter, et ope remediorum per benignas crises, in instanti naturaliter debellari potuit».
[53] Ivi, nr. 12, p. 6. Si cita la parafrasi in Responsio, in PSD, nr. 74, p. 27.
[54] Animadversiones, in PSD, nr. 12, pp. 5-6.
[55] Ivi, nr. 12, p. 6.
[56] G. Sodano, Il miracolo nel Mezzogiorno d’Italia dell’età moderna, cit., p. 266.
[57] Animadversiones, in PSD, nr. 40, p. 15.
[58] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 303.
[59] Ivi, p. 305.
[60] DSDB, DI, nr. 25.
[61] Ivi, nr. 26.
[62] Animadversiones, in PSD, nr. 41, p. 15.
[63] DSDB, lib. IV, pars I, cap. 16, nr. 19, trad. p. 523.
[64] V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal sec. XI fino ai giorni nostri, 14 voll., vol. V, Roma, Tipografia dei Fratelli Bencini, 1874, p. 139. Non è da escludere che la Responsio fosse stata iniziata dallo zio e terminata dal nipote a causa della dipartita del primo (di cui però non si conosce la data).
[65] P. Troyli, Istoria generale del reame di Napoli..., 10 voll., vol. I, part. 2, In Napoli, [s.e.], 1747, p. 319.
[66] P.A. Corsignani, Acta Sanctorum Martyrum simplicii, Constantii, et Victoriani, ... vindicata, Romae, Excudebat Joannes Generosus Salomoni, 1750, p. 250.
[67] Girolamo Colmeta dovette essere ancora vivo il 2 maggio 1796 se a tale data risale un suo testamento: «per mantenere, rispettivamente, un povero giovane in seminario» (relativo al comune di San Nicola Baronio, Circondario di Ariano) e «pel mantenimento di due poveri giovani in seminario» (relativo al comune di Trevico). Cfr. la sezione Lasciti per l’istruzione (Provincia di Avellino), in Ministero della Pubblica Istruzione, Bollettino Ufficiale, vol. VII, luglio, 1881, p. 604. Nonché al testamento si fa riferimento in una sentenza del 1867, stampata in F. Bettini e D. Giurati, Giurisprudenza italiana. Raccolta generale progressiva delle decisioni delle varie corti del Regno..., vol. XIX, Torino, Dall’Unione Tipografico-Editrice, 1867, pp. 756-761.