Stefano Daniele
Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c3
La pubblicazione della positio, nel suo complesso, è datata cinque anni dopo, al 1761, Ex Typographia Reverendae Camerae Apostolicae, ossia presso la tipografia o stamperia camerale. L’operazione, che prevedeva la produzione di «sessanta esemplari, a meno che il segretario della detta Congregazione dei Sacri Riti non desideri più copie» – era vincolata da «un prezzo stabilito e tassato» [16]
. E solo nel caso in cui il tipografo della Camera si fosse rifiutato di svolgere tale compito, si dava la possibilità di imprimatur ad altri stampatori, purché esercitassero il mestiere al di qua dei confini della città [17]
. Inizialmente, con il breve Coelestis Hierusalem cives del 1634, completato nel 1642, Urbano VIII «aveva proibito espressamente che nelle cause di beatificazione e canonizzazione potessero essere stampate le relazioni degli uditori di Rota, le informationes di fatto e di diritto e tutte le altre scritture relative alle cause di beatificazione e canonizzazione prima della fine delle stesse cause» [18]
. Dopodiché, il decreto emesso da Alessandro VII, il 9 aprile 1661, concesse di pubblicarle «nonostante i predetti decreti, i quali in questa occasione il santo padre annullò e volle fossero annullati», prima del riconoscimento ufficiale della
{p. 144}beatificazione o della santità del candidato [19]
. Restava fermo che «tutte le informationes, sommari e tutte le altre scritture relative alle canonizzazioni, sebbene stampate riviste sottoscritte e sigillate come sopra, non costituiscono per niente un grado di prova maggiore in ordine alla beatificazione e alla canonizzazione» [20]
. Più che altro, aiutavano a risolvere problemi di ordine pratico, come spiegava il decreto edito il 19 luglio 1661: «per esperienza è stato accertato che in quegli esemplari stesi dagli amanuensi, per la loro imperizia e incuria, sono confluiti molti errori, che possono falsificare il loro senso, e i postulatori sono costretti a sottoporsi a gravi spese, che potrebbero in massima parte diminuire se ad essi fosse lecito avere gli esemplari stampati». Averli prima di sottoporre la documentazione al voto dei commissari, si intendeva [21]
.
Nel corso del processo a Francesco Caracciolo, le commissioni si riunirono per la prima volta sul finire degli anni Trenta del Settecento. Prima, però, nel 1736, il promotore della fede richiese al Sant’Uffizio la documentazione relativa ai fatti del 1629, poiché la questione dell’ammissibilità dei processi di beatificazione per chi avesse subito procedure inquisitoriali era ancora nebulosa [22]
. La causa «sopra il dubbio delle virtù» fu presentata nella Congregazione antipreparatoria del 2 settembre 1738, poi in quella preparatoria dell’11 agosto del 1739 e, infine, in quella generale del 21 marzo 1741. E, il 23 aprile dello stesso anno, Benedetto XIV, al secolo Prospero Lambertini, emanò finalmente il decreto sopra le virtù in grado eroico [23]
.
Nonostante tutto, la beatificazione poteva considerarsi ancora lontana da venire. Ciò apparve chiaro dopo che, {p. 145}quello stesso giorno, il pontefice pubblicò il «decreto generale de’ quattro miracoli da approvarsi in ordine alla beatificazione per qualunque causa cui mancassero le prove sufficienti delle virtù con testimoni di veduta» al fine di conseguire «maggiore certezza nel decidere le cause sì rilevanti» [24]
. Era proprio questo il caso richiamato dalla disposizione: Francesco era spirato da più di un secolo e, con lui, molti dei testimoni oculari che ebbero prova delle sue virtù eroiche, ma che, ormai, non avrebbero potuto testimoniare a favore di queste ultime. Non restava che attendere; o, al più, impegnarsi a stanare – se non proprio «creare» [25]
– nuovi miracoli che permettessero al candidato di ottenere una volta per tutte l’agognata beatificazione. Non passò un decennio che i postulatori tornarono alla carica. Presentarono al «trono della Sede Apostolica» otto miracoli compiuti per intercessione di Caracciolo [26]
. La Congregazione antipreparatoria si riunì il 9 maggio 1747 e quella preparatoria il 28 gennaio del 1749 – lo stesso anno in cui la già citata Antonia Niglio fu risanata da dolori e febbri mortali [27]
. Tuttavia, nel corso dei lavori della Congregazione generale, riunitasi il 21 marzo 1752, solo due miracoli meritarono l’approvazione communi judicio, come sottoscrisse il papa nel decreto edito il 19 settembre dello stesso anno [28]
. Si trattava delle guarigioni miracolose, approvate «in terzo genere (quoad modum)» – ossia avvenute immediatamente e in modo perfetto, nonostante la prognosi infausta – dei già citati Gennaro Cappello e Filippo Rubinacci [29]
.
A quella data, dunque, mancavano solo due miracoli acché Francesco ottenesse l’agognato titolo di Beato. Si pensò che quanto accaduto solo un mese prima di quel 19 {p. 146}settembre 1752, nella casa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, potesse concorrere a buon fine. Così, a qualche anno di distanza dal processo super miraculis del 1753, altri due miracoli vennero sottoposti all’approvazione delle Congregazioni. Entrambi avevano a che fare con guarigioni: quella di Antonia Niglio, affetta da dolore ischiadico, colico e da febbre continua, avvenuta nel 1749; e la «repentina sanazione di Carlo de Vivis religioso dei Chierici Regolari Minori» [30]
. Ormai il miracolo di Lalla Meta, che pure ricoprì un posto di primo piano nel processo super miraculis (1711-1713) – il potere ignifugo dell’immaginetta di Caracciolo, che la donna portava appesa al collo, e la sventata morte del proprio figlioletto – aveva perso smalto. Come nota Sodano a proposito delle animadversiones siglate da Prospero Bottino (1695) per la canonizzazione di Andrea da Avellino, dei Chierici Regolari Teatini, già all’alba del Settecento «i miracoli dal contenuto “meraviglioso”, non trovavano più un adeguato posto e mal si prestavano ai fini di un riconoscimento per la beatificazione»: «i miracoli sottoposti al giudizio del promotore [...] si concentra[vano] esclusivamente su avvenimenti che riguardavano guarigioni da infermità» [31]
.

2. Stomachevoli immaginazioni

Le precauzioni non erano mai abbastanza. Pertanto si richiese, nella persona del proponente della causa, Domenico Musaccio, un ulteriore esame «affinché il miracolo non si basasse su una congettura nuda e fallace, ma si offrisse la prova ineludibile del suo intervento» [32]
. A svolgerlo fu designato Benedetto Veterani da Urbino (1703-1776). A quel tempo non aveva ancora ottenuto la porpora cardinalizia, che acquisirà solo nel 1766, ma poteva vantare i ruoli di consultore della Congregazione dei Riti e referendario del {p. 147}Tribunale della Segnatura, il supremo tribunale di diritto canonico della Santa Sede [33]
.
In veste di promotore della fede, aveva il compito di seminare dubbi nel presunto campo dei miracoli; mettere sotto torchio gli indizi e separare il frutto della verità dalle fecce del falso. Per questo si era soliti nominare chi ne ricopriva la carica «avvocato del diavolo», non senza minore malizia. Non tanto perché questi avesse interesse a mettere zizzania o perché si baloccasse a ingarbugliare le prove, compromettendo la buona riuscita della causa. Il promotore della fede era un’autorità religiosa e lavorava nella (e per la) Curia, bisogna sempre tenerlo a mente. Certo, alzava la posta in gioco: se l’avvocato pro causa fosse riuscito a sconfessarlo, capovolgendone le argomentazioni, il candidato ne sarebbe uscito fortificato nella sua fama di santo e ritenuto degno di beatificazione o canonizzazione [34]
.
Per l’occasione, il promotore stese la sua argomentazione in 41 punti, di cui il tema dell’immaginazione transitiva occupava il 39° e il 40°. Veterani si servì della dottrina per assestare un’ultima sciabolata ai propugnatori dell’intervento miracoloso. Esordiva: «anche i sapientissimi sostenitori notano abilmente, oltre la causa incerta del morbo, oltre i rimedi usati correttamente, e oltre le duplici crisi, che l’intensa immaginazione di coloro che sono stati guariti [...] può sminuire un miracolo». Al pari dei rimedi farmaceutici, delle crisi evacuative, naturali e indotte, l’immaginazione era ritenuta in grado di sanare un’infermità; così come dalla stessa «è certo che molte malattie [fossero] spesso accese» [35]
.{p. 148}
Si può dedurre, sin da subito, che il quadro di riferimento di Veterani, e dei «sapientissimi sostenitori» a cui egli faceva riferimento, fosse quello canonizzato da Prospero Lambertini, che, come l’urbinate, fu promotore della fede – egli dal 1708 al 1731. Nel suo monumentale De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, il più importante manuale di canonizzazione del Settecento per vastità di argomento e perizia medico-teologica, l’autore dedicava l’ultimo capitolo del IV libro sui miracoli proprio all’immaginazione (De imaginatione, et eius viribus). Una scelta di posizionamento, quest’ultima, e di forma – la sezione si presenta come un trattatello autonomo – che tradisce l’esclusività e la preminenza che l’autore conferiva all’argomento [36]
. In esso, compendia lo storico della psicologia Fernando Vidal, Lambertini «toglieva l’immaginazione dalle mani di Dio» in via definitiva [37]
. Una scelta, la sua, che si inseriva nel più ampio disegno, promosso dall’illuminista della Chiesa cattolica, di proteggere la religione non solo dallo scetticismo, ma anche, e soprattutto, dalla credulità [38]
. L’autore, difatti, manifestò un’impellente «urgenza a naturalizzare» fin dove possibile molti dei fenomeni che i più erano soliti considerare, con maggiore levità, «sovrannaturali» [39]
. Tra tutti, le guarigioni dovute ai poteri dell’immaginazione, che riteneva essere caratterizzate da uno statuto piuttosto ambiguo: da un lato, infatti, l’immaginazione restava una facoltà naturale; dall’altro, era uno degli strumenti di cui Dio si sarebbe potuto servire per compiere miracoli. Delle due facce della stessa medaglia, Lambertini salvò la prima [40]
.
An [Christus] per imaginationem miraculizaverit? Come il teologo Francesco Bordoni al tramontare del Seicento, l’illuminista cattolico rispose negativamente (Meditatio III, quaestio 15) [41]
. Stabilì che «le condizioni mediche che fossero
{p. 149}essere causate o curate attraverso i poteri dell’immaginazione avrebbero dovuto essere escluse dal dominio della guarigione miracolosa [...] restringendo l’ambito del miracoloso alle malattie la cui eziologia e cura si supponeva coinvolgessero il solo corpo» [42]
. Perché, nelle patologie mentali (epilessia, mania, malinconia, furori lunatici, ecc.) o in quelle corporee influenzate da esse – quando il diavolo non vi nascondeva la coda – l’impronta di Dio restava purtuttavia difficile da rintracciare [43]
. Le conseguenze di una simile scelta, nota sempre Vidal, erano duplici: se per un verso l’immaginazione «riduceva l’estensione del miracoloso», dall’altro «ogni cura che sfuggiva il suo range di spiegazione poteva diventare, sotto uno scrutinio appropriato, un miracolo» [44]
.
Note
[16] Decreto di Alessandro VII in DSDB, lib. I, cap. 19, nr. 20 e nrr. 22-23, trad. pp. 435 e 437-438.
[17] Ivi, lib. I, cap. 19, nr. 22, trad. p. 438. Direttiva ripresa nel decreto del 23 luglio 1661.
[18] Ivi, lib. I, cap. 19, nr. 18, trad. p. 433.
[19] Ivi, lib. I, cap. 19, nr. 19, trad. pp. 434-435; G. Sodano, Modelli e selezione del santo moderno, cit., p. 37. Le Animadversiones furono stampate dalla Tipografia Vaticana a partire dal Settecento. Per fortuna disponiamo di un numero ingente di tomi dedicati ai candidati napoletani. Cfr. l’elenco in J.M. Sallmann, Santi barocchi, cit., p. 488.
[20] DSDB, lib. I, cap. 19, nr. 21, trad. p. 437.
[21] Ivi, lib. I, cap. 19, nr. 19, trad. p. 434.
[22] V. Fiorelli, I sentieri dell’inquisitore, cit., p. 192, n. 32.
[23] A. Cencelli, Compendio storico della vita e miracoli del Beato Francesco Caracciolo..., cit., pp. 247-248.
[24] Ivi, p. 248.
[25] È la prospettiva aperta da T. Lynch, Making Miracles in Medieval England, Abingdon, Routledge, 2023.
[26] Informatio, in PSD, p. 1.
[27] A. Cencelli, Compendio storico della vita e miracoli del Beato Francesco Caracciolo..., cit., p. 251.
[28] Informatio, in PSD, p. 1.
[29] A. Cencelli, Compendio storico della vita e miracoli del Beato Francesco Caracciolo..., cit., pp. 251-252.
[30] Informatio, in PSD, p. 2.
[31] G. Sodano, Il miracolo nel Mezzogiorno d’Italia dell’età moderna. Tra Santi, Madonne, guaritrici e medici, Napoli, Guida, 2010, p. 263.
[32] Animadversiones, in PSD, p. 1.
[33] G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. 96, In Venezia, Dalla Tipografia Emiliana, 1859, pp. 274-275.
[34] M. Gotor, Chiesa e santità nell’Italia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 34-41. A proposito della figura e del ruolo del Promotor Fidei, cfr. ivi, p. 38; circa l’evoluzione dei compiti spettanti alla sua carica, cfr. S. Ditchfield, «Coping With the Beati Moderni», cit., p. 421.
[35] Animadversiones, in PSD, nr. 39, p. 14: «Solerter quoque advertant sapientissimi suffragantes an ultra incertam morbi causam, ultra remedia apte adhibita, ultra donique geminatas crises, aliquid detrahere possit miraculo vehemens imaginatio sanati, a qua certum est, plures solere morbos propelli».
[36] DSDB, lib. IV, De imaginatione (DI).
[37] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 317.
[38] Ivi, p. 316.
[39] Ivi, p. 311.
[40] Ivi, p. 317.
[41] Ivi, p. 307. F. Bordoni, Opus posthumum, Consistens in diversis meditationibus, ordine contexto super miraculorum essentiam, et qualitatem, Parmae, Pauli Monti, 1703, p. x e discussione a p. 50.
[42] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 297.
[43] Ivi, p. 298. Circa la propensione del diavolo a colpire soggetti affetti da malattie mentali, cfr. J. Cédard, Folie et démonologie au XVIe siècle, in A. Gerlo (a cura di), Folie et déraison à la Renaissance, Bruxelles, Editions de l’Université de Bruxelles, 1976, pp. 129-148.
[44] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 317.