Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/c6
A ragione, quindi, si costaterà che «là dove ci si
è attenuti rigidamente alla procedura formale si sono riscontrate delle difficoltà
ad operare efficacemente»
[18]
. Una vicenda verificatasi nello stabilimento di R., nei mesi tra agosto
e ottobre del 1966, conferma pienamente il dato di esperienza. Senonché, con
altrettanta ragione si replicherà che il contatto diretto tra capo e dipendenti,
fuori degli istituti della CM «oggi fa paternalismo, perché prematuro»
[19]
: evidentemente, non basta dichiarare che «se in sede di comitato tutte
le opinioni possono essere espresse senza conseguenze per nessuno, altrettanto deve
poter accadere nei reparti»
Alla fine del mese di agosto 1966, dunque,
l’ufficio del personale di R. trasmetteva alla segreteria della CM una proposta del
responsabile del reparto Preparazione, intesa a modificare la procedura di lavoro
degli annodatoti, affinché il problema fosse affrontato nel quadro e con i metodi
della CM. A sua volta la segreteria, dopo aver approfondito i termini del problema
con il responsabile del reparto, informava la rappresentanza del personale che
decideva ‒ nell’intento di fare scendere i fatti consultivi ai livelli più bassi ‒
di investire del problema le stesse maestranze interessate, informando
successivamente il SC sulle conclusioni raggiunte.
Nel quadro operativo delineato, il capo reparto
illustrava ai rappresentanti del personale la proposta di riorganizzare il metodo di
lavoro degli annodatoti; in una successiva riunione con le maestranze, si comunicava
la proposta di modifica, si raccoglievano le richieste di chiarimento, le obiezioni
e i suggerimenti. Veniva costituito un «gruppo di lavoro», con la partecipazione
diretta dei rappresentanti del personale a cui si assegnava il compito di
approfondire l’esame della proposta, di discuterla col capo reparto e di riferire ai
colleghi. Nel corso del previsto incontro col capo reparto, ottenuti i chiarimenti e
le assicurazioni richieste, la modifica procedurale veniva
accolta, con l’intesa di verificarne sperimentalmente la validità. Riscontrato però
che, trascorsa una decina di giorni, gli operai non si adeguavano spontaneamente
alla nuova procedura, il capo reparto chiedeva un incontro con i rappresentanti del
personale del comitato. Seguirono altre riunioni informative tra capo reparto,
operai interessati e rappresentanti del personale e, finalmente, agli inizi del mese
di ottobre la proposta di modifica alla procedura di annodatura entrava in fase di
attuazione.
Nella seduta del 20 ottobre 1966, il comitato
consultivo dello stabilimento di R. riesamina criticamente l’andamento della vicenda
al fine di ricercarvi «indicazioni utili (...) da tener presenti per il futuro».
Nella relazione, svolta su invito della segreteria dal capo reparto, si legge
inter alia che la presenza dei rappresentanti del
personale¶{p. 79} ha appesantito la procedura consultiva, «ha
provocato qualche difficoltà di comprensione» a causa della mancanza di una
«specifica preparazione» in ordine alla materia trattata, è stata «insufficiente
(...) al momento dell’introduzione» della modifica di lavoro: affinché questa
diventasse operativa, «il capo è stato costretto a riprendere in mano la
situazione». In sostanza, i rappresentanti del personale non hanno saputo o voluto
assumersi la responsabilità (superando le difficoltà dei rapporti con le maestranze)
che la loro posizione comporta. Negativo, pertanto, è il giudizio del capo reparto
sul «fatto nuovo che una modifica di procedura (nei metodi di lavoro) non venga
discussa direttamente dal capo con gli interessati, ma attraverso la mediazione di
rappresentanti», a tal segno da «mettere in dubbio la validità dello stesso istituto
della CM».
In realtà la relazione presentata dal
responsabile del reparto Preparazione ‒ il quale «afferma di volersi attenere ai
fatti» ‒ intende dimostrare che l’azione consultiva svolta direttamente dal capo con
i suoi dipendenti è più efficace di quella resa possibile dall’intervento dei
rappresentanti del personale e che la presenza autoritativa del capo è
insostituibile («non ci si può attendere che il reparto si autogestisca»). In altri
termini, i metodi di lavoro della CM sono drammaticamente vissuti dal capo come una
contraddizione istituzionalizzata al confortante assunto che «la responsabilità di
quanto avviene nel reparto (...) è e rimane del capo». La sgradevole sensazione non
è infondata. Per quanto storicamente incapace di determinare una effettiva
struttura «dualistica» dell’autorità aziendale, la CM appare
suscettibile di attribuire all’adesione manifestata dai dipendenti agli «ordini» del
capo una colorazione politica di singolare rilievo nel senso che il comportamento
attuativo dei dipendenti cessa di essere considerato l’effetto automatico
dell’altrui supremazia gerarchica
[21]
. Gli organismi formali di CM sono, infatti, visti dal capo come le sedi
in cui è possi¶{p. 80}bile contestare legittimamente il suo potere,
senza alcuna contropartita, laddove, solo conoscendo esattamente i limiti
coessenziali al potere, se ne acquista la piena consapevolezza. Finché questa non
matura, cioè a dire finché non sarà percepito dai capi il momento
positivo insito nella funzione
negativa esercitata dagli organismi formali di CM,
trasferire la consultazione a livello di reparto favorendo il contatto diretto del
capo con gli operai (c.d.) interessati significa ridurre il «fatto consultivo» a
innocuo velleitarismo, ma significa anche perpetuare una visione «settoriale» dei
problemi aziendali derivanti da una concezione delle autonomie tecnico-organizzative
che non può non contrastare con gli sforzi della Bassetti a sviluppare forme di
cooperazione vincolata (tendenti ad assicurare la massima integrazione reciproca)
tra le sue componenti.
La «crescita» della segreteria della CM, di cui
si è detto nel precedente paragrafo, si colloca in questo quadro, ove le tendenze
evolutive si accompagnano ad accenni d’involuzione e la volontà di concludere
un’esperienza che non trova in sé la spinta necessaria a compiersi si congiunge con
l’esigenza di ricominciare ex novo. Occorre «compiere una
svolta, forse non con un deciso colpo di barra, ma una svolta graduale, che poi man
mano deve essere più incisiva»; «forse ormai siamo ad uno stato di inerzia tale per
cui un tentativo di recupero potrebbe essere improduttivo: allora può valere la pena
di dare un colpo in un’altra direzione, ma facendo ben attenzione ad evitare nuovi
equivoci»; «senza qualche cosa di fattuale, di concreto, di determinante, di
specifico (sic) il discorso resta una continuazione un po’
inflazionata di un qualche cosa che, per il fatto di esistere da cinque anni, oggi è
già vecchio»
[22]
. In questo clima di «speranze deluse», dunque, e di impazienti attese di
un imprecisabile «futuro migliore» si insinua
insensibilmente nella direzione della Bassetti ‒ alla quale era addossato il maggior
«peso della persistenza (...) di tutta l’inizia¶{p. 81}tiva»
[23]
‒ un senso di stanchezza che a breve scadenza l’avrebbe condotta, quasi
senza accorgersene, a rinunciare di fatto al monopolio della CM, il cui controllo
viene ceduto in larga misura ad un organo «neutrale» chiamato a rispondere del suo
operato «a tutte le parti firmatarie»
[24]
.
Se dunque, in origine, è possibile prefigurare lo
spazio di agibilità di questo organo (la segreteria della CM), è difficile credere
che esso sia in grado di impadronirsene effettivamente. Cosicché, è lecito dubitare
che le parti firmatarie non intendano attribuire alla segreteria della CM una
funzione diversa da quella consistente nell’identificare a
priori «il» responsabile della CM: accorgimento utile in quanto
impedisce che sia la CM come «idea» a essere criticata. In altri termini, se la CM
non dà risultati soddisfacenti, evidentemente ciò dipende da un
errato comportamento dell’organo responsabile. Infatti, quando si affronterà, a viso
aperto, la crisi della CM, si potrà affermare che ‒ poiché «questa politica è
impersonata dall’organo ad hoc» ‒ «evidentemente
dobbiamo fare la critica dell’organo ad hoc»
[25]
. Accanto a siffatto ruolo passivo (di innegabile
importanza) la segreteria potrà e vorrà svolgere un ruolo attivo
[26]
. Al riguardo, non sembrano esistere preclusioni; tuttavia, l’azienda
adotta le misure di cautela che ritiene opportune: «previa consultazione con la
controparte», come dispone l’art. 13 del nuovo statuto, la segreteria sarà
costituita da «personale messo a disposizione dall’azienda». Ovviamente, la
direzione dell’impresa ha scelto quelle persone che offrivano, per formazione
ideologica o milizia politica o conoscenza diretta della situazione aziendale, la
maggiore garanzia di continuità della precedente politica
[27]
. Senonché, la prece¶{p. 82}dente
politica non era affatto univoca. Infatti, la CM era allora semplice termine di
riferimento ideale di un insieme di valori (e disvalori) scarsamente amalgamati, in
buona parte inespressi, in via di formazione o di superamento, anche se nessuno di
essi è stato mai del tutto inutile o perduto per sempre. D’altra parte, le stesse
contraddizioni interne continuamente e senza riserve esibite dalla CM sono il
simbolo della sua verità e il fondamento ultimo della sua validità: consistente
nella ricerca delle condizioni in cui è ottenibile l’unificazione degli opposti che
permetta di combinare la maggior tolleranza possibile con la maggiore unità possibile
[28]
. Un simile giudizio, che trova concordi pure i
protagonisti della CM, non deve confondersi con un tollerante compiacimento
all’eclettismo; al contrario, vuole essere un tentativo di comprensione critica del
processo storico attraverso il quale si è venuta attuando la CM in
Bassetti.
Note
[18] Verbale del CA del 20 gennaio 1962.
[19] Verbale del CA del 17 luglio 1962.
[20] Verbale del CA del 22 gennaio 1959.
[21] V. retro n. 4, in fine.
[22] Verbali del CD del 10 dicembre 1962 e 11 febbraio 1963.
[23] V. il documento elaborato dalla DdP nel 1963 e allegato al Manuale della DdP.
[24] Art. 13 dello statuto del 26 giugno 1963.
[25] Intervento di Bassetti nella riunione sindacale del 6 settembre 1965.
[26]20 V. Parte II, n. 5.
[27] La scelta cade, inizialmente, su un ex-consulente della Bassetti per gli affari sindacali (la cui firma è apposta in calce all’accordo del14 maggio 1958) e, qualche anno dopo, su una persona proveniente dalle file acliste (destinata ad occupare, in virtù della non comune carica motivazionale e della «scapigliatura» ideologica proprie dei militanti delle ACLI, una posizione di primo piano nei rapporti con la direzione e con i sindacati sul «fronte» della CM).
[28] Marcuse, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata, trad. it., Torino, 1967, p. 108.