Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c5

Capitolo quinto La formazione del capitale umano
di Tommaso Agasisti, Luisa Ribolzi e Giorgio Vittadini

Notizie Autori
Tommaso Agasisti Professore ordinario di Ingegneria economico-gestionale nel Politecnico di Milano, School of Management, dove insegna Public Management ed Economia e organizzazione aziendale. Dal 2019, è componente del CDA del Politecnico di Milano. Dal 2020, è “associate dean” per le International Relations del MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business. È stato componente di nuclei di valutazione di diverse università italiane, sia statali che non statali. Dal 2014, è componente del Comitato provinciale di valutazione del sistema scolastico della Provincia Autonoma di Trento. I suoi interessi di ricerca riguardano la valutazione delle organizzazioni pubbliche, con particolare riferimento a scuole, università e enti locali. È autore di oltre 150 pubblicazioni accademiche, di cui la maggior parte ospitate in riviste accademiche internazionali.
Notizie Autori
Luisa Ribolzi È stata professore ordinario di Sociologia dell’educazione nella Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova con esperienza specialistica in materia di aspetti istituzionali e organizzativi dei sistemi formativi, in particolare degli insegnanti e dirigenti, del rapporto fra pubblico e privato e del raccordo fra formazione e lavoro. Ha oltre 40 anni di esperienza nel settore dell’istruzione e della formazione, è stata vicepresidente dell’ANVUR e supervisore dell’Area Sviluppo Professionale e Organizzativo del Gruppo CLAS.
Notizie Autori
Giorgio Vittadini Ha conseguito il Phd in Statistica nel 1986 nell’Università di Trento. Dal 2000 è professore ordinario di Statistica metodologica all’Università di Milano-Bicocca. È autore di più di 100 pubblicazioni scientifiche di profilo teorico e applicato in particolare nel campo della sanità e dell’educazione. Presiede la Fondazione per la Sussidiarietà, che ha fondato nel 2002 come strumento di sviluppo culturale.
Abstract
Fin dalle origini della scienza economica si parla di capitale umano (CU), vale a dire del contributo che una persona apporta alla produzione in forza delle sue abilità e innate e acquisite. In epoca più recente si è convenuto che tale CU è legato alla quantità e qualità delle conoscenze apprese nel percorso scolastico e formativo.
Negli ultimi anni è emerso che tale CU non dipende solo dalle conoscenze acquisite ma anche dalle non cognitive skills, tratti e comportamenti di un individuo che influenzano la sua capacità di relazionarsi con gli altri e la realtà tutta. Tali non cognitive skills sono malleabili e migliorabili nel percorso educativo; il loro incremento porta non solo a un positivo effetto sulle performance scolastiche e lavorative ma anche a una maggiore solidità e stabilità della persona nel suo complesso. Si può quindi concludere che possono essere intese come le caratteristiche osservabili della sottostante inscindibile personalità di un essere umano.

1. Definire e misurare il capitale umano: un tentativo di sintesi

Sir William Petty [1]
fu il primo a definire ciò che ora chiamiamo «capitale umano» (CU) quando affermò che il lavoro era il «padre della ricchezza» e doveva essere incluso nella stima della ricchezza nazionale. Dopo Petty, Smith [2]
pur non usando il termine «capitale umano» incluse il valore delle abilità sia innate che acquisite nella nozione di capitale affermando che «l’abilità acquisita di un lavoratore può essere considerata alla stessa luce di una macchina o di uno strumento utilizzato per il commercio che facilita e riduce il lavoro e che, sebbene costi una certa spesa, ripaga tale spesa con un profitto». Da allora in poi per quasi due secoli, nella discussione sul CU, si cercò di rispondere a due quesiti: il primo è se fosse «morale» trattare gli esseri umani come una risorsa il cui valore può essere misurato in termini monetari, il secondo quali metodi possono essere usati per quantificarlo.
Sul primo problema, Mill [3]
affermò che non possiamo definire gli esseri umani di per sé come capitale o ricchez{p. 106}za, ma che le loro capacità acquisite hanno un valore: «Non considero l’essere umano come una forma di ricchezza. È lo scopo per cui esiste la ricchezza. Ma le sue capacità acquisite, che esistono solo come strumento, e sono state generate dal lavoro, mi sembra siano una forma di ricchezza». La questione ha avuto un apporto risolutivo ad opera della cosiddetta Scuola di Chicago e in particolare di Schultz [4]
, uno dei fondatori dell’analisi del CU fatta al suo interno. Il nuovo approccio, invece di mettere a fuoco la ricchezza o il potere della nazione, ha cercato di determinare i motivi per cui un singolo individuo decide di investire liberamente nelle sue capacità personali tentando di migliorare il proprio CU e, più in generale, la propria condizione umana [5]
:
I nostri valori e le nostre convinzioni ci impediscono di considerare gli esseri umani come beni capitali, tranne che nella schiavitù [ma...] il concetto di ricchezza legato alle capacità dell’uomo è in ogni suo aspetto a vantaggio delle persone. Investendo in sé stesse, le persone possono ampliare la gamma di scelte a loro disposizione. È un modo in cui gli uomini liberi possono migliorare il loro benessere.
In questa luce possiamo considerare come prima esauriente definizione di CU quella di un altro autore della Scuola di Chicago, il premio Nobel per l’economia Gary Becker [6]
secondo cui il CU consiste nelle abilità e capacità acquisite attraverso l’investimento nell’istruzione, dove i ritorni attesi sono identificati in guadagni più elevati. È interessante sottolineare l’affermazione di Becker che gli esseri umani investono in istruzione per ottenere il meglio, in qualsiasi modo lo intendano (corsivo nostro): l’istruzione è quindi finalizzata a un progetto di vita.
La seconda questione riguarda quali metodi possono {p. 107}essere usati per quantificare il CU, metodi che sono numerosi e in continua evoluzione [7]
. Ne diamo una breve sintesi.
Il metodo retrospettivo [8]
identifica il valore del CU complessivo per una nazione con i costi di educazione degli individui che, come più recentemente ha specificato Kendrick [9]
, possono essere divisi in costi materiali, per il puro mantenimento di un ragazzo, e immateriali, che comprendono le spese per la salute, la sicurezza, l’istruzione.
Sono state fatte molte critiche all’approccio basato sui costi. La più importante è che non può esistere alcuna chiara relazione tra il costo di produzione e la qualità del CU prodotto, in quanto gli investimenti in capacità e competenze vengono effettuati in presenza di caratteristiche innate o dell’ambiente familiare e sociale che possono differire moltissimo [10]
e che ne condizionano l’esito.
Secondariamente, è particolarmente difficile distinguere i costi individuali e familiari di istruzione, alloggio, cibo, abbigliamento, sanitari e di trasporti dai costi di investimento in CU: il costo reale per il raggiungimento di un dato livello di CU è molto superiore a quello sostenuto dalle famiglie, poiché per la maggior parte è a carico delle risorse pubbliche [11]
.
Un metodo alternativo è quello prospettico introdotto da Farr [12]
, che ha stimato il CU di una nazione in termini di reddito nel ciclo vitale, come il valore attuariale attuale {p. 108}dei guadagni annuali attesi (ponderato dalla probabilità di sopravvivenza) al netto dei costi strettamente necessari per l’educazione. Jorgenson e Fraumeni [13]
hanno poi migliorato questo metodo classificando la popolazione in base a caratteristiche fondamentali quali sesso ed età. Il metodo prospettico, consentendo di tenere conto delle dinamiche di sviluppo, sembra più adatto alle società in crescita, e appare più affidabile del metodo retrospettivo [14]
ma presenta anch’esso alcuni inconvenienti. Infatti si basa sull’ipotesi che le differenze salariali riflettano veramente le differenze di produttività, mentre i salari variano per svariati motivi e i dati sono difficilmente disponibili [15]
.
Il già citato modello della Scuola di Chicago fondato sulla scelta razionale negli investimenti individuali in CU [16]
porta una novità radicale anche nella misurazione. Innanzitutto si parla di CU individuale e non collettivo, nel senso che la «quantità» individuale di CU è il risultato di investimenti volontari nell’acquisizione di abilità e capacità da parte dell’individuo, della sua famiglia o delle imprese per quel che concerne l’apprendimento sul lavoro.
Tuttavia tale impostazione prescinde dalla qualità delle istituzioni educative, dalla capacità degli individui, dal background familiare e sociale, dal genere, dall’etnia, che hanno un grandissimo influsso sugli esiti dell’investimento in CU [17]
.{p. 109}
Un tentativo di valutare l’investimento volontario in CU in termini aggregati e di utilizzarlo come indicatore di sviluppo economico è stato proposto dall’OECD [18]
attraverso l’approccio del livello di istruzione della popolazione. Si fa riferimento a indici standardizzati a livello internazionale quali la numerosità e la percentuale (totale o sulla classe di età) della popolazione che ha raggiunto i diversi livelli di istruzione o il numero di anni scolastici incarnati nella forza lavoro, con disaggregazioni per regione di residenza, età, etnia e genere. Per quanto riguarda l’investimento in istruzione dello Stato si considerano invece, ad esempio, il rapporto tra spesa pubblica per istruzione e PIL, la spesa educativa per studente, annua o complessiva fino al termine degli studi, il rapporto studenti/insegnante [19]
.
Tuttavia, l’approccio del livello di istruzione presenta molte carenze [20]
perché prescinde anch’esso dalla qualità delle istituzioni educative, dalla capacità individuale, dal background familiare e sociale, dal genere, dall’etnia. Inoltre, attribuisce uguale importanza a ogni livello scolastico quando nei paesi dell’OECD il livello di istruzione terziaria ha il maggiore impatto, mentre nei paesi in via di sviluppo conta maggiormente la scuola primaria e, in generale, il rendimento degli anni di scuola è via via decrescente [21]
. Infine, presuppone che un anno di istruzione abbia il medesimo valore in qualsiasi paese, il che non è.
Per questo, in modo più sofisticato, si è cercato innanzitutto di stimare la relazione causale tra CU e crescita della produttività, con risultati contrastanti. Se una prima generazione di studiosi ha scoperto che il CU ha un impatto notevole sulla crescita [22]
, una seconda serie di studi è stata
{p. 110}più critica, scoprendo che in alcuni casi l’istruzione ha un impatto negativo sulla crescita e, in generale, la relazione è molto debole, soprattutto perché, come si è detto, è del tutto inadeguato misurare il CU esclusivamente in termini di quantità di anni complessivi di istruzione della popolazione o di spesa dello Stato [23]
. Si ripropone quindi la necessità di legare il CU alla qualità dei sistemi educativi, che differisce moltissimo sia all’interno di un paese che tra i paesi. Ma il concetto di «qualità» dei sistemi educativi è difficile sia da definire che da misurare, e in più, come si è detto, il ritorno in CU non dipende solo dalla qualità del sistema educativo istituzionale, ma anche da altre dimensioni: le capacità innate, le caratteristiche personali, il background familiare e sociale [24]
.
Note
[1] W. Petty, Political Arithmetick, or a Discourse Concerning the Extent and Values of Lands, People, Buildings (1690), in C.H. Hull, The Economic Writings of Sir William Petty, Cambridge, Cambridge University Press, 1899.
[2] A. Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, London, W. Strahan and T. Cadell, 1776, pp. 265-266, ora in R.H. Campbell, A.S. Skinner e W.B. Todd (a cura di), The Glasgow Edition of the Works and Correspondence of Adam Smith, vol. II, Oxford, Oxford University Press, 1976.
[3] J.S. Mill, Principles of Political Economy, with Some of Their Applications to Social Philosophy, London, Longmans, 1848 (rist. 1926).
[4] T.W. Schultz, Investment in Human Capital, in «Economic Review», 51, 1, 1961, pp. 1-17.
[5] Ibidem, p. 2.
[6] G.S. Becker, Human Capital: A Theoretical and Empirical Analysis, New York, Columbia University Press/NBER, 1964.
[7] G. Folloni e G. Vittadini, Human Capital Measurement: A Survey, in «Journal of Economic Surveys», 24, 2, 2010, pp. 248-279.
[8] E. Engel, Der Werth des Menschen, Berlin, Verlag von Leonhard Simion, 1883.
[9] J.W. Kendrick, The Formation and Stocks of Total Capital, New York, Columbia University Press/NBER, 1976.
[10] D.W. Jorgenson e B.M. Fraumeni, The Accumulation of Human and Nonhuman Capital, in R.E. Lipsey e H. Stone Tice (a cura di), The Measurement of Saving, Investment, and Wealth, Chicago, University of Chicago Press, 1989, pp. 227-282.
[11] C. Dagum e D.J. Slottje, A New Method to Estimate the Level and Distribution of the Household Human Capital with Application, in «Structural Change and Economic Dynamics», 11, 2000, pp. 67-94.
[12] W. Farr, Equitable Taxation of Property, in «Journal of the Statistical Society of London», 16, 1, 1853, pp. 1-45.
[13] D.W. Jorgenson e B.M. Fraumeni, The Accumulation of Human and Nonhuman Capital, cit.
[14] C. Dagum e D.J. Slottje, A New Method to Estimate the Level and Distribution of the Household Human Capital with Application, cit.
[15] OECD, Human Capital Investment. An International Comparison, Paris, Centre for International Research and Innovation, 1998.
[16] J. Mincer, Investment in Human Capital and Personal Income Distribution, in «Journal of Political Economy», 66, 4, 1958, pp. 281-302; W. Schultz, Investment in Human Capital, cit.; G.S. Becker, Human Capital: A Theoretical and Empirical Analysis, cit.
[17] OECD, Human Capital Investment. An International Comparison, cit.; J.J. Heckman, J.E. Humphries e T. Kautz, The Myth of Achievement Tests: The GED and the Role of Character in American Life, Chicago, University of Chicago Press, 2014; L. Wössmann, Specifying Human Capital, in «Journal of Economic Surveys», 17, 3, 2003, pp. 239-270.
[18] OECD, Human Capital Investment. An International Comparison, cit.
[19] E.A. Hanushek, Measuring Investment in Education, in «Journal of Economic Perspectives», 10, 4, 1996, pp. 9-30; OECD, Human Capital Investment. An International Comparison, cit.; L. Wössmann, Specifying Human Capital, cit.
[20] S. Becker, Human Capital: A Theoretical and Empirical Analysis, cit.
[21] L. Wössmann, Specifying Human Capital, cit.
[22] W. Schultz, Investment in Human Capital, cit.
[23] World Bank, Workers in an Integrating World. World Development Report, Washington, 1995, http://documents1.worldbank.org/curated/en/365821468168543533/pdf/148660REPLACEMENT0WDR01995.pdf.
[24] Ibidem; L. Wössmann, Specifying Human Capital, cit., 2003; E.A. Hanushek e L. Wössmann The Role of Education Quality in Economic Growth, Policy Research Working Paper 4122, Washington, World Bank, Human Development Network, Education Team, 2007.