L'infamia e il perdono
Tributi, pene e confessione nella teologia morale della prima età moderna
Trasgredire la legge comporta il peccato? Una parte della teologia occidentale ha
svalutato il vincolo delle norme positive perché fondato sulle necessità della
coercizione umana. Offrendo un ricco contributo alla storia della confessione, il volume
illustra il contesto in cui nacque, alla fine del medioevo, la separazione tra colpa e
pena, tra peccato e reato, tra penitenza e punizione terrena. Con l'attacco del
conciliarismo agli effetti delle scomuniche si avviò una riflessione che nel XVI secolo
fu alla base della critica degli abusi dell'Inquisizione, della sua pretesa di violare
il sigillo della confessione e di imporre pene (come la confisca) che colpivano
innocenti. La crescente capacità coercitiva dei tribunali ecclesiastici e civili spinse
teologi e canonisti cattolici a ridisegnare il ruolo della confessione; ma ad essere
chiamati in causa - osserva l'autore - furono anche i modi della conquista americana, la
sperequata fiscalità secolare, la violazione dei diritti comuni, la commistione tra
pratica delle indulgenze e prelievo dei tributi. Nel laboratorio dell'Impero spagnolo
teologi e giuristi si divisero sulla questione del rapporto tra le leggi e gli obblighi
di coscienza. Quelle dispute segnarono, nel Seicento, la battaglia dell'Interdetto, con
la quale si fece strada un nuovo modo di intendere il diritto e la dottrina dei
casi.